Dal 18 al 20 settembre a bergamo il documentario vincitore del david di donatello e la mostra fotografica “il lavoro dimenticato”














COMUNICATO STAMPA



“L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO”:

DAL 18 AL 20 SETTEMBRE A BERGAMO IL DOCUMENTARIO VINCITORE DEL DAVID DI DONATELLO E LA MOSTRA FOTOGRAFICA “IL LAVORO DIMENTICATO”






Bergamo, mercoledì 22 agosto 2007



Un viaggio nel mondo del lavoro di ieri e di oggi attraverso il cinema e l’immagine fotografica: è la proposta di fine estate della CGIL di Bergamo che organizza dal 18 al 20 settembre l’iniziativa “L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro (art.1 della Costituzione italiana)”.



In collaborazione con l’ARCI, la Biblioteca “Di Vittorio” della CGIL propone, infatti, la proiezione del documentario vincitore del David di Donatello 2006-2007 “Il mio paese” di Daniele Vicari presso il Cinema Conca Verde, via Mattioli (per le serate del 18, 19 e 20 settembre, ore 21 - ingresso gratuito per gli iscritti CGIL che ritirano il buono in sede). Sulle orme di un documentario di Joris Ivens girato alla fine degli anni ’50, Vicari ripercorre l’Italia tra il 2005 e il 2006 per raccontare i segni della nuova crisi economica interna e dalla perdita di competitività internazionale.



Dal passato arrivano, poi, le tracce dei lavoratori e delle loro attività, ferme nel tempo e nello spazio delle fabbriche dismesse: sono i soggetti delle fotografie di Mauro Pomati, raccolte nella mostra “Il lavoro dimenticato” a cura di Roberto Mutti, parte integrante di un progetto didattico che la Fondazione Roberto Franceschi onlus ha sviluppato in alcune scuole superiori milanesi col patrocinio di Provincia di Milano, Ufficio Scolastico Regionale, Università Bicocca, FLC-CGIL e con il contributo di Fondazione Cariplo.

La mostra verrà presentata a Bergamo, ospitata dalla sede della CGIL di via Garibaldi, dal 20 settembre al 5 ottobre 2007 (dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 18.00 - ingresso libero). L’organizzazione è a cura della Biblioteca “Di Vittorio” della CGIL di Bergamo e della Fondazione Roberto Franceschi, in collaborazione con l’associazione LavoroDopo.

L’inaugurazione è in programma per il 20 settembre alle ore 17.30.

Interverranno:

- Mauro Pomati, fotografo

- Roberto Mutti, curatore della mostra

- Lydia Franceschi, presidente della Fondazione Roberto Franceschi

- Giuliano Capetti, assessore al lavoro della Provincia di Bergamo

- Maurizio Laini, segretario generale della CGIL di Bergamo




IL DOCUMENTARIO
“Il mio paese” di Daniele Vicari

Tra il 1959 ed il 1960 uno dei più grandi documentaristi della storia del cinema, Joris Ivens, realizzò – su commissione di Enrico Mattei presidente dell’Eni – un film dal titolo emblematico: “L’Italia non è un paese povero”. Attraverso un lungo viaggio, dal Nord ormai rinato dalle macerie del secondo conflitto mondiale al Sud ancora contadino, Ivens raccontava lo sforzo di industrializzazione di un paese alla vigilia del boom economico. Cosa è rimasto oggi di quel sogno? Tra il 2005 e il 2006 Daniele Vicari ha ripercorso l’Italia in senso inverso per raccontare un presente segnato dalla crisi economica interna e dalla conseguente perdita di competitività internazionale. Nel suo viaggio – dalla Sicilia industriale di Gela e Termini Imerese, passando per Melfi, per i laboratori dell’Enea di Roma, dove si fa ricerca sulle energie alternative, per una città come Prato, alle prese con la complessa dinamica dell’immigrazione cinese, fino a Porto Marghera –, Vicari racconta un paese in difficoltà, che sta tuttavia cambiando pelle: assieme all’Italia del declino emerge quella della riconversione, di una nuova trasformazione. Un film documentario dove le immagini di Ivens sono un punto di riferimento costante, una suggestione tematica e narrativa, su cui si innesta la scoperta di un paesaggio italiano, industriale e post-industriale, di grande impatto visivo. Il paese di oggi si mostra in controluce attraverso quel modello di quarantacinque anni fa, insieme fotografia di un momento storico irripetibile e pagina di grande cinema.

Nato il 26 febbraio 1967 a Castel di Tora (Rieti), Daniele Vicari è autore di numerosi cortometraggi e documentari. Il suo esordio alla regia di lungometraggi cinematografici con “Velocità massima” – presentato alla 59ma Mostra del Cinema di Venezia – gli è valso il David di Donatello 2003 come miglior regista emergente. Nel 2005 "L'orizzonte degli eventi", la sua ultima opera cinematografica, è stata presentato a Cannes, nell’ambito de "La semaine de la critique".





LA MOSTRA

“Il lavoro dimenticato” di Mauro Pomati



Le considerazioni di Roberto Mutti, curatore della mostra

“Che cosa si nasconde fra le macerie di una vecchia fabbrica, sotto le campate di un capannone, in luoghi che un tempo erano caratterizzati da un grande fragore e ora sono attraversati da un silenzio spettrale? Non sempre è facile rispondere perché questi luoghi, una volta dismessi, scompaiono letteralmente alla nostra vista: basta una porta murata, un cancello protetto da una catena, un muro perimetrale alto e ancora appa­rentemente robusto per relegare un mondo intero in una dimensione dove neppure la memoria può raggiungerla. Oggi stiamo vivendo una fase sto­rica di grande importanza perché l’evoluzione tecnologica ha reso obsoleti quei modi di produzione che un tempo avevano contribuito a modificare la vita di milioni di persone affascinate dalla rivoluzione industriale. Così le fabbriche che trasformarono così radicalmente con la loro imponente pre­senza il paesaggio naturale e urbano, oggi vengono abbandonate, isolate, lasciate degradare prima di seguire un destino diverso: nella migliore delle ipotesi vengono ristrutturate e destinate ad altro scopo, nella più comune vengono abbattute per lasciare spazio ad altri edifici, piazze, giardini.

Ma che cosa c’è oltre i muri, al di là dei cancelli, dietro le finestre dai vetri spezzati? Ancora una volta è la fotografia – che fin dagli anni della sua invenzione a metà Ottocento aveva documentato con malcelata ammi­razione ogni inaugurazione di tratto ferroviario, ogni nuovo ponte in ferro costruito per sfidare gli abissi, ogni macchinario in azione – a parlarci di quel mondo nell’era del suo tramonto.

Le immagini realizzate da Mauro Pomati non sono una documenta­zione, non ne hanno il rigore asettico né la completezza di indagine, ma molto di più perché parlano in modo anche emotivamente partecipato di situazioni e di sentimenti, di luoghi e di persone attraverso le tracce che questi hanno lasciato forse in attesa che qualcuno le scoprisse.

Quello realizzato dal fotografo è un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio grazie al quale possiamo entrare in un mondo dove il lavoro era anche un modo di essere, una visione del mondo, una cultura. Questo perché, se appena si va oltre i primi passi, quando si incontrano i capanno­ni ormai vuoti, in altri spazi tutto è rimasto come al momento in cui l’ulti­mo operaio ha chiuso, forse con un po’ di commozione, la porta alle sue spalle. Se non fosse per la polvere depositata sugli elmetti gialli di protezione, potrebbe sembrare che gli abiti da lavoro siano stati appesi per la pausa pranzo, ma molti altri sono gli indizi: un giubbotto lasciato nei bagni, l’armadietto con la porta aperta a rivelare, accanto alle pin-up ritagliate dai giornali e poi incollate, i tagliandi della sottoscrizione per L’Unità, una lavagna con le indicazioni in gesso delle destinazioni di chissà quali merci.

Ci sono angoli rimasti intat­ti come l’atrio che dà sugli uffici (quasi intatto: a guardar bene è scomparso il lampadario che ci immaginiamo sia stato di quelli in vetro e un po’ pretenziosi, a gocce) ma ce ne sono altri che quasi metaforicamente sono completamente distrutti, come testimonia una vecchia macchina da scrivere circondata dalle cartacce che un tempo erano l’archivio, la memoria storica dell’azienda.

Sono i posti di lavoro che ancora ci raccontano la vita di allora: un tornio con alla base i trucioli di ferro, il cartello che stabilisce gli obblighi cui sono tenuti gli operai e l’altro che sottolinea con orgoglio da quanti giorni non ci sono infortuni, l’indicazione quasi familiare a spegnere le luci inutili, l’archivio con le radiografie degli operai, i meccanismi dei grandi orologi verso cui intere generazioni di lavoratori avranno guardato con ansia, speranza, preoccupazione. Per quanto si sia detto che la fabbrica era o poteva essere un ambiente ostile, ora che la si vede ormai inerte il ventre del grande pesce in cui era finito Pinocchio, il relitto affondato di un antico galeone, la grotta delle leggende che contiene mille cunicoli – riesce a commuovere per quei tanti segni di vita che le appartengono: le foto accartocciate dei colleghi di lavoro applicate con le puntine su una parete, le bocche spalancate di due impastatrici che sembrano mortai puntati verso il cielo, la bicicletta appoggiata al muro vicina alla porta d’ingresso. È ora di uscire, non sono passati molti anni, ma quelle fabbriche appartengono a un mondo inevitabilmente lontano che tuttavia ha ancora molto da insegnarci: la fatica del lavoro ma anche l’amore per la propria professione, la dignità di uomini e donne che hanno vissuto con parsimonia sognando per i figli un domani migliore, la sveglia la mattina presto con il freddo pungente addosso, le carrozze dei treni di terza classe che non ci sono più anche se una carrozza con i suoi sedili di legno e gli arredi essenziali compare nelle fotografie perché staziona accanto a una fabbrica. Ma su quei binari è ferma per sempre”.





Il fotografo Mauro Pomati nasce a Vernasca (PC) nel 1954. Dopo pochi anni la famiglia si trasferisce a Milano, nel quartiere Niguarda, dove vive tuttora. Giovanissimo apprende i primi rudimenti della fotografia nello studio Falchi & Salvador (specializzato in arredamento e pubblicità) facendo la gavetta e diventando prima respon­sabile della camera oscura per la stampa bianco-nero e, successivamente, assistente alle riprese fotografiche. Nel 1990, allo scioglimento dello studio, inizia la professione di foto­giornalista con l’agenzia fotografica “Farabolafoto”, con cui collabora tuttora.

Il suo impegno politico unito alla passione per la fotografia, lo portano a fare una ricerca sull’architettura industriale e attraverso le immagini delle fabbriche dismesse rievoca e ricostruisce la vita degli uomini che vi hanno lavorato.





In allegato, la cartolina-invito alla mostra.





Biblioteca “Di Vittorio”
La Biblioteca "Di Vittorio"- centro di documentazione sindacale della CGIL di Bergamo è una struttura aperta a tutti che comprende la biblioteca e l'archivio storico dell'organizzazione.
Il suo obiettivo è quello di essere non solo un deposito di memorie del passato ma uno strumento attivo, che agisce con tutto il sindacato e con le strutture che operano nel campo della cultura e della società, a disposizione di studenti, giovani, lavoratori, studiosi e pensionati.
La Biblioteca "Di Vittorio" costituisce un punto di riferimento per promuovere ricerche sulla storia del sindacato e dei lavoratori, sul loro ruolo nell'evoluzione economica, sociale e culturale del territorio; per diffondere i risultati di tali studi; per stabilire rapporti di collaborazione con altri centri di studio; per organizzare occasioni di discussione e dibattito.
Dal 1995 la biblioteca è inserita nel sistema del Comune di Bergamo e riconosciuta dal sistema bibliotecario nazionale. La Biblioteca "Di Vittorio” ha sede presso la CGIL Bergamo in via Garibaldi 3/e (tel. 035.3594.350 - fax 035.3594.359).
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Fondazione “Roberto Franceschi” onlus

La Fondazione Roberto Franceschi onlus si è costituita nel 1996 per ricordare Roberto, studente ventenne dell'Università Bocconi di Milano, colpito a morte il 23 gennaio 1973 da un proiettile di pistola in dotazione alla polizia, che quella sera presidiava la sua Università onde impedire una assemblea aperta agli studenti delle altre Università milanesi.
La Fondazione svolge attività culturale nel campo delle ricerche sociali, dei diritti umani, dell'educazione alla mondialità.
La Fondazione si propone di offrire alla comunità un contributo di iniziative culturali e occasioni di riflessione critica sui valori della società civile e sulle problematiche dell'individuo, attraverso:
- erogazione di premi di laurea e borse di studio. Ogni anno sono stati erogati premi di laurea per neolaureati dell'Università Bocconi, che nella loro tesi, abbiano trattato, in maniera critica e propositiva, qualcuno dei tanti problemi del sottosviluppo o della emarginazione a livello nazionale o internazionale;
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- la promozione, la cura e l'edizione, anche in concorso con altri, di pubblicazioni specializzate;
- l'organizzazione di convegni, seminari, mostre, concerti e di ogni altra manifestazione culturale idonea;
- lo sviluppo e la realizzazione, anche in collaborazione con altri, di progetti di sviluppo sociale e di affrancamento dei diritti umani e civili;
- il sostegno di progetti di solidarietà sociale in favore di soggetti che non hanno accesso a diritti civili.





Grazie per l’attenzione. Buon mercoledì.

Francesca Ghirardelli





Ufficio Comunicazione CGIL Bergamo

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