Tra lavoratori e centrosinistra è crisi


La 'diagnosi' del sindacato



Tra lavoratori e centrosinistra è crisi



Rappresentanza sociale vs scelte politiche: parlano i segretari generali delle regioni “terremotate” dal voto



di Carlo Gnetti



“Il risultato del voto è dovuto in primo luogo alla delusione sull’operato del governo”. Un sentimento che – secondo Danilo Barbi, segretario generale della Cgil Emilia Romagna – il sindacato aveva percepito, e che aveva spinto la Cgil regionale a lanciare un appello a favore del voto. “Il voto – prosegue il leader sindacale – segnala l’esistenza di una crisi sociale a cui il governo di centro sinistra non ha saputo dare risposte. Di certo, però, non si capisce cosa è avvenuto se si usano solo le categorie politologiche e non quelle sociali”.

È un’analisi condivisa da Anna Giacobbe, segretaria generale della Cgil Liguria, che a sua volta parla di segnali colti anticipatamente dalla Cgil specie dopo l’astensionismo nei quartieri popolari di Genova registrato alle ultime elezioni amministrative. “La crisi del rapporto tra lavoratori a reddito fisso e politica – argomenta – non è stata recuperata nella campagna elettorale”.

Rincara la dose Vincenzo Scudiere, segretario generale della Cgil Piemonte: “Le aspettative sul centro sinistra – sostiene il sindacalista – sono state frustrate dalle divisioni del governo nazionale, dall’incertezza che si determina nell’elettorato quando i ministri si mettono contro il governo di cui fanno parte. Anche le scelte concrete, che pure ci sono state, potevano essere valorizzate. Ad esempio il protocollo sul welfare ha trovato consenso, ma poi doveva essere applicato. Il problema nasce quando la parte che sta peggio nella società non trova risposte sul piano politico. Da questo punto di vista deve riflettere la sinistra radicale, una parte dei cui voti sono andati alla Lega: quando si lancia il messaggio dell’opposizione per l’opposizione, la gente sceglie chi protesta di più”.

Non priva di accenti autocritici, invece, l’analisi di Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil Lombardia, che chiama in causa anche le responsabilità del sindacato. “Nessuno si aspettava un risultato di queste dimensioni – ammette la Camusso –. C’era, sì, la percezione che la Sinistra alternativa fosse un’avventura minoritaria e oppositoria, e noi sappiamo che il sindacato non può avere una vocazione oppositoria. C’era la percezione di un’assenza di progettualità e di una difficoltà congiunturale della destra dovuta alla decisione di Formigoni di candidarsi. Pensavamo a un voto in libertà ma non alla possibilità che tutto ciò si trasformasse in voti alla Lega”. Questa insufficiente analisi è dovuta, secondo la sindacalista, a tre errori di lettura. “Primo: ci siamo lasciati prendere dallo schema secondo cui la campagna elettorale era quella che ci mostrava la tv. Così non abbiamo visto ciò che succedeva nel territorio e abbiamo trascurato l’insediamento della Lega. Secondo: in questa straordinaria stagione di rapporto con i lavoratori, culminata nel referendum sul protocollo del welfare, abbiamo colto i disagi e i problemi ma non abbiamo avuto il coraggio di andare fino in fondo, spostando invece la discussione sul sì e il no al referendum – come se i no avessero solo una motivazione di sinistra – e limitandola all’interno del gruppo dirigente, invece di cercare di capire cosa stava succedendo nei luoghi i lavoro. Terzo: già nell’inchiesta sul voto alla Lega fatta più di 15 anni fa dall’osservatorio di Mannheimer si potevano leggere certi elementi, a cominciare dal localismo come difesa, per finire alla fondazione del sindacato della Lega. È come se la certezza riguardo all’impossibilità di costituire un sindacato leghista ci avesse tranquillizzato invece di indurci a riflettere sul fatto che la politica prendeva direzioni diverse. In breve c’è distonia tra ciò che ci diciamo e la capacità di leggere i comportamenti della gente”.

La novità in questo caso è dovuta al fatto che il voto alla Lega non rappresenta più la protesta generica contro il governo centrale, ma esprime un disagio e un bisogno di tutela legati alle questioni del lavoro e del territorio, a temi che, per dirla con il segretario generale della Cgil Veneto Emilio Viafora, “agitano la coscienza del mondo che noi rappresentiamo: i diritti di cittadinanza, la sicurezza, il funzionamento del sistema pubblico, il fisco, ecc.”. Questioni che, peraltro, non riguardano solo il Nord Italia. “Quando la disoccupazione tocca punte del 15 per cento, la povertà aumenta e le infrastrutture sono insufficienti – spiega Italo Tripi, segretario generale della Cgil Sicilia – l’invito a votare centro sinistra perché a Roma c’è Veltroni non può che cadere nel vuoto. Il vincitore delle elezioni qui in Sicilia, Lombardo, gioca invece la carta dell’autonomia, del radicamento nel territorio, della Sicilia contro Roma. E l’elettorato è sensibile a queste sirene”. Non a caso sono parole d’ordine assonanti con quelle della Lega Nord, in un intreccio che pone sullo stesso piano la questione meridionale e quella settentrionale. “Le due questioni si alimentano reciprocamente – precisa Viafora – e così sono vissute anche dalla gente che rappresentiamo, nel cui voto si riflettono le immagini dell’immondizia di Napoli e, soprattutto, le questioni della legalità, a cominciare dal fatto che un terzo del paese è considerato fuori dal controllo democratico”.

In questa prospettiva di analisi la questione sicurezza rinvia immediatamente alle condizioni legate al reddito e al lavoro. Si ritrovano così in sofferenza regioni come il Piemonte e la Liguria, dove la popolazione anziana, che qui ha una percentuale più alta del resto del paese, è quella che risente maggiormente dell’insicurezza del reddito. Un dato relativamente nuovo di cui va tenuto conto è l’insicurezza legata al lavoro, che non è più solo quello precario ma è anche quello che si svolge in aziende medio grandi esposte ai processi di globalizzazione. “Finora ci siamo concentrati sulla dicotomia garantiti- non garantiti – ammette Barbi –, scambiando la tutela giuridica con la sicurezza del lavoro. Il fatto è che oggi, anche se sei coperto dall’articolo 18, non sei garantito contro i licenziamenti collettivi. Una volta la chiusura delle aziende dipendeva dall’andamento del mercato. Oggi può dipendere dalla volontà di un management impersonale, lontano da te. Anche qui in Emilia molte medie imprese di tutti i comparti industriali, comprese quelle a forte valore aggiunto, sono possedute da multinazionali, che guardano al mercato con altri occhi. Questo produce un effetto di insicurezza generale sul lavoro, e l’insicurezza ha bisogno di risposte”.

Infine resta da dire come il sindacato si appresta a collocarsi in questo nuovo scenario politico, considerando un aspetto centrale messo in evidenza dal voto: la separazione tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, corroborata dal fatto che aumentano le adesioni al sindacato anche nelle regioni dove la crisi del centro sinistra è più forte. “Piuttosto che discutere dove ha sbagliato l’uno o l’altro, la Cgil deve fare il suo mestiere – esorta Scudiere –. Deve chiedere al governo di risolvere i problemi del paese. E se in questo governo c’è un pregiudizio nei confronti del sindacato adotteremo le necessarie contromisure”. Anche Anna Giacobbe esorta a non utilizzare la lotta sindacale come rivincita. “Non abbiamo segni di crisi nel tesseramento e nella gestione delle vertenze – aggiunge –, però dobbiamo completare al più presto la piattaforma unitaria con la parte che riguarda la contrattazione. Alla conferenza d’organizzazione dobbiamo poi confermare la scelta del radicamento nel lavoro, non solo al fine di accrescere la tutela ma anche per fondare lì il nostro potere di interlocuzione con la politica. Dare al nostro lavoro un’impostazione molto sindacale non significa ripiegamento corporativo. Tutt’altro”. Secondo Susanna Camusso occorre insistere su due aspetti su cui il sindacato “ha visto giusto”: l’insediamento nel territorio e la contrattazione di secondo livello, territoriale e aziendale. A tutto ciò occorre aggiungere – secondo Viafora – l’impegno per far crescere una cultura solidaristica “capace di coniugare i diritti individuali e i bisogni collettivi”. Anche Tripi insiste sull’autonomia della Cgil, chiamata oggi a compiere un salto di qualità di fronte a quella che definisce una “nuova frontiera”. “Una dimostrazione di questa autonomia – spiega il sindacalista – l’abbiamo già data in due circostanze: la firma del protocollo sul welfare e lo sciopero sul fisco, che poi non si è realizzato a causa della caduta del governo. Oggi, di fronte a una semplificazione del quadro politico, c’è da chiedersi se sia da rivedere anche il modello di rappresentanza sindacale che è stato forgiato dalla politica”. “Dobbiamo prendere atto – conclude Tripi – che lo scenario in cui il sindacato aveva guadagnato uno spazio che discendeva dalla crisi della politica non c’è più. Non è più tempo di supplenza”.



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