AGENZIE, COOPERATIVE, SERVIZI: IL VOLTO RISPETTABILE DELLO SFRUTTAMENTO 2.0 

11 dicembre 2014

Sono 400 mila i braccianti che nel 2013 hanno lavorato in condizioni di sfruttamento nelle campagne italiane. Ma non è solo nei campi che si annida la schiavitù. A portare i nuovi sfruttati in Italia sono bande di colletti bianchi organizzate come agenzie e cooperative, che procurano regolari documenti
TORINO - Una busta paga in negativo. Sulla quale - sottratto l’affitto, il vitto e le utenze di un piccolo appartamento - il credito si era trasformato in debito per un gruppo di facchini provenienti da Pakistan e Senegal. Tanto è bastato perché a Montopoli, piccolo borgo di 10 mila abitanti in provincia di Pisa, venisse alla luce uno delle migliaia di tasselli che compongono il puzzle delle nuove schiavitù. Che oggi, “esattamente come accade con la prostituzione - spiega monsignor Giancarlo Perego, direttore della fondazione episcopale Migrantes - si stanno progressivamente spostando dall’aperto al chiuso, dall’agricoltura al mondo dei servizi e dunque dai campi agricoli verso magazzini e appartamenti”. A emettere quella busta paga, infatti, - tre anni prima che il rogo di Prato scoperchiasse il calderone del caporalato anche in Toscana - era stata una piccola cooperativa interamente gestita da italiani. Che, dietro la facciata bonaria dell’impresa a conduzione familiare, gestiva un giro di sfruttamento con terminali in Asia e in Africa, oltre che in Lombardia e nella provincia toscana.
Situazioni del genere, in Italia, sono sempre più frequenti. A raccoglierli è stato un dossier del Gruppo Abele.
A sentire gli operatori sul campo, la schiavitù 2.0 non avrà più il volto e le mani nodose degli ex braccianti riconvertiti al caporalato: a portare in Italia i nuovi schiavi, sempre più spesso, sono bande di colletti bianchi organizzate in agenzie, associazioni o cooperative sociali. Come a dire che Salvatore Buzzi e i suoi sodali non sono certo gli unici ad aver intravisto un business milionario dietro i flussi migratori diretti nel belpaese. Ma se le cifre dell’agricoltura iniziano a essere progressivamente inquadrate, non si può dire altrettanto per quanto riguarda l’industria e i servizi: “Oggi - continua Monsignor Perego - sappiamo con certezza che situazioni di sfruttamento sono largamente diffuse tanto nel mondo delle badanti e dei servizi di cura, quanto in quelli della ristorazione, del catering, del turismo e di gran parte dei lavori che presentano caratteri di stagionalità. Ma è il passaggio stesso dall’aperto dei campi al chiuso dei servizi a condurre in un mondo nebuloso, difficilmente monitorabile. In cui il ciclo della violenza e del ricatto può perpetrarsi con una facilità perfino maggiore”.
Al netto di un sommerso ancora consistente, i numeri dello sfruttamento nel settore agroalimentare sono,

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