Artigiani, 71 mila posti vuoti


Focus Il mercato del lavoro
Artigiani, 71 mila posti vuoti
Non si trovano falegnami, meccanici, sarti I giovani: sì al call center, no al «mestiere»

Il Paese della moda e della Ferrari non trova sarti e meccanici. Anche in fatto di falegnami, che spesso sono il «braccio operativo» del design, siamo messi piuttosto male. E non va meglio in tutta una serie di mestieri antichi e nuovi che sembrano ignorati dalle nuove generazioni a dispetto di un corrispettivo economico di tutto riguardo. E' l' altra faccia dell' Italia dei call center affollati di giovani malpagati e maltrattati. Bertolt Brecht si chiedeva in poesia se Giulio Cesare, per conquistare la Gallia, non avesse al suo seguito almeno un cuoco. In prosa, una ricerca condotta da Confartigianato giunge alla conclusione che le professioni «retroterra» del made in Italy, indispensabili per la conquista dei mercati, sono in sofferenza. La madre di tutte le cifre è la seguente: nel 2007 il fabbisogno delle imprese artigiane è stato di 162.550 nuovi addetti; di questi, 71.359, vale a dire il 43%, si sono rivelati introvabili. Si parla nella maggior parte dei casi di professioni in cui, scontato un periodo iniziale con un salario di ingresso attorno ai mille euro, si può salire nel giro di qualche anno a tre volte tanto. Scomponendo il dato iniziale per professioni, la ricerca scopre che la lacuna maggiore riguarda il settore dei parrucchieri e degli estetisti: ne mancano 4.718, il 59% del fabbisogno. Quest' ultima percentuale diventa però più elevata in altri segmenti del mercato, più legati all' immagine dell' Italia nel mondo: non si trova infatti il 73% dei falegnami, il 70% degli addetti alle confezioni, il 64% dei valigiai, il 63% dei meccanici per automobili, il 59% di sarti e modellisti. Mestieri d' altri tempi, si dirà, travolti dal fascino della modernità. Errore: la medesima ricerca rivela che all' appello risultano assenti anche il 74% dei conduttori di robot industriali e il 62% degli addetti a macchine automatiche, figure che hanno fatto la loro comparsa sul mercato del lavoro da pochi anni. Tra le ragioni per cui l' esercito dei mestieri rimane senza soldati c' è l' impreparazione di quanti si offrono alle aziende (35% dei casi), la mancanza di motivazioni professionali (31%) e la ridotta disponibilità tout court di aspiranti (21%). La sequenza di numeri si chiude con la «geografia» di questa penuria di manodopera: più marcata nelle regioni del tumultuoso Nordest (51% del fabbisogno), meno nel Meridione e nelle isole (38%). Fine della statistica, inizio della caccia ad un perché. Cesare Fumagalli, segretario nazionale di Confartigianato, la sintetizza in una frase-slogan: «Eravamo il Paese di Lascia o raddoppia, siamo diventati quello del quiz con i ' pacchì». La spiegazione arriva di seguito: «Per vincere a Lascia o raddoppia dovevi comunque essere in possesso di un sapere, di una conoscenza, con i pacchi no. Prevale la logica del poco guadagno ma subito, una logica da addetto al call center». Fumagalli cerca di capire cosa può essere accaduto: «Da un lato abbiamo una legge sull' apprendistato che non facilita certo l' ingresso dei giovani in questo mondo; sarebbe necessario, ad esempio, permettere stage più lunghi e più frequenti nelle aziende agli alunni delle scuole professionali. Oltre a ciò non abbiamo saputo accompagnare l' evoluzione delle nostre professioni con un nuovo appeal: sono tra le poche a garantire il cosiddetto "ascensore sociale" di cui tanto si parla». «Ma i dati della ricerca - replica sul fronte opposto Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil in Lombardia, una delle regioni più colpite dalla penuria di manodopera - riflettono anche un costume sociale: viviamo in un Paese che ha svilito il lavoro manifatturiero. Quanti ragazzi pensano che fare il commesso sia più gratificante che lavorare come operaio specializzato? Sono indispensabili, poi, altre due considerazioni: nell' artigianato il contratto è stato rinnovato dopo 8 anni, durante i quali il salario ha perso un enorme valore d' acquisto. La riforma Moratti della scuola, poi, ha retrocesso la formazione professionale in serie B, squalificando il sapere tecnico» Eppure il fascino del made in Italy avrebbe dovuto esercitare un' attrazione non indifferente. Accade persino che dopo la prima ondata di globalizzazione, fatta di taglio dei costi e delocalizzazioni, adesso il vento è cambiato; nel settore delle calzature, ad esempio, molte lavorazioni stanno tornando in Italia e le esportazioni del made in Italy crescono, se non in volume, almeno in valore. Altri settori, ad esempio l' industria o l' edilizia, hanno sopperito alla mancanza di manodopera ricorrendo all' inesauribile serbatoio dell' immigrazione; ma si trattava di figure poco qualificate. Nelle professioni dove l' esperienza, il «mestiere», l' occhio sono tutto, si potrà fare altrettanto? «Le cifre dimostrano - riprende Fumagalli - che il temuto "idraulico polacco", destinato a rubare il lavoro all' Occidente, alla fine non è arrivato. Anzi; i fatti ci stanno confermando che per fare certi mestieri, essere nati in Italia o per lo meno essersi formati qui, fa ancora la differenza». cdelfrate@corriere.it

Del Frate Claudio

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