Intervista a nino baseotto, nuovo segretario generale cgil


da NOSTOP
ottobre 2008


La nuova fase politica, determinata dal cambio di governo e sorretta da un evidente consenso e da una netta maggioranza parlamentare, sembra determinare una modifica sia del rapporto col sindacato confederale sia dello stesso ruolo che il sindacato ha nella società.

Il nuovo Governo Berlusconi si comporta nei tempi, nelle priorità e nell’omogeneità della sua compagine, in modo molto diverso dal Berlusconi del 2001. Anzitutto mostra di avere una capacità comunicativa straordinaria e assai più efficace del passato. In secondo luogo, allora, nella maggioranza di governo pesavano forze politiche, come Alleanza Nazionale e UDC, che avevano un certo radicamento sociale. Oggi non ci sono o hanno un peso molto differente e questo Governo rinuncia apertamente a riferirsi ed interloquire con i corpi intermedi e di rappresentanza. Non fa mistero di perseguire l’obiettivo di mettere una parte del mondo del lavoro contro di noi, ma sono lontani i tempi degli attacchi frontali su temi come le pensioni o l’articolo 18. Oggi si cavalcano le campagne di stampa contro i cosiddetti fannulloni ed in realtà si ledono i diritti e le condizioni di lavoro delle persone che onestamente lavorano nei comparti pubblici, oppure si smontano silenziosamente pezzi dell’accordo interconfederale del 23 luglio 2007. O ancora, si adottano misure tra il demagogico ed il populista, come nel caso della social card per gli anziani, si incassa il consenso attraverso una sapiente campagna mediatica e poi ci si “dimentica” di stanziare i fondi perché la social card possa divenire una cosa reale. In definitiva, mi pare che questo Esecutivo persegua una disarticolazione degli interessi, la loro frammentazione in tanti rivoli. Se avessero successo in questo, verrebbe messa in discussione la nostra idea di confederalità e quindi di rappresentanza generale dei bisogni e degli interessi.


Il confronto sul modello contrattuale e la politica dei redditi, sulla base della piattaforma unitaria, è certamente un banco di prova del sindacato confederale. La stessa contemporaneità tra modello contrattuale e i molti rinnovi di contratti nazionali determina una forte attesa tra i lavoratori.

I lavoratori, e con loro il Sindacato confederale, hanno interesse ad una manutenzione in avanti del protocollo del luglio ’93, per confermare e rafforzare l’esistenza di un modello unico di contrattazione, che è garanzia per tutti e rappresenta una tutela per i settori più deboli. La piattaforma unitaria che abbiamo presentato va in questo senso. La trattativa con Confindustria è invece decisamente in salita: il documento che ci è stato consegnato non va bene. Anzitutto nella logica di fondo che, dopo tutte le affermazioni roboanti della vigilia, propone un modello assolutamente centralizzato che penalizzerebbe il secondo livello di contrattazione. Inoltre, il documento contiene punti che, se non rimossi, costituiscono un impedimento alla ricerca di un accordo. Penso a come vengono affrontati i temi della bilateralità, delle sanzioni, delle deroghe e della natura tutta variabile degli aumenti salariali a livello aziendale. La stessa previsione di superamento del concetto di inflazione programmata in favore di un nuovo indicatore di inflazione, si accompagna ad elementi non accettabili quali la pretesa che l’indice inflattivo sia depurato dagli elementi importati, l’assenza di meccanismi di verifica e quindi la mancanza di risposte al tema degli scostamenti. Come se non bastasse, sono forti le spinte di una parte degli imprenditori a determinare un “prendere o lasciare” che prescinde dai contenuti e che non prevede alcuna relazione o coerenza con la nostra piattaforma. Colgo una qualche tentazione ad aderire alla logica “l’accordo lo si fa con chi ci sta” anche da parte di alcuni dirigenti di CISL e UIL. Stiamo discutendo non di un normale accordo sindacale, ma dell’accordo che fissa le regole del gioco. Mi pare difficile e complicato pensare di fissare le regole escludendo qualcuno dei giocatori. In ogni caso, abbiamo comunque il problema di allargare la trattativa sul modello contrattuale ad una platea di interlocutori perlomeno uguale a quella della parti che hanno stipulato il protocollo del ’93, a partire dal coinvolgimento del Governo, nella sua veste di datore di lavoro nei comparti pubblici.


In questi anni l’intrecciarsi di fenomeni mondiali (finanziarizzazione e globalizzazione), uniti a processi di arretramento economico del paese nel contesto europeo, sono stati concausa di due fenomeni sociali evidenti: minor tutela del reddito e insicurezza sociale.

Guglielmo Epifani da tempo insiste, a ragione, sul fatto che la globalizzazione è entrata in una fase nuova, nella quale i processi di finanziarizzazione giocano e giocheranno un ruolo determinante. Il mercato globale della finanza è sconvolto dalla crisi dei mutui che ha portato al fallimento di tre dei cinque colossi bancari nord americani. Ciò ha determinato perdite enormi in tutte le borse ed ha evidenziato come il mercato finanziario globale sia privo di un efficace sistema di controllo. A ciò si aggiunge che l’economia mondiale segna il passo. Gli analisti concordano nel prevedere, per il 2009, in ambito UE, una crescita piatta. Il nostro Paese è fermo quanto gli altri partner europei, con l’aggravante che, in questa situazione, non si recupera certo il gap creatosi negli anni tra la nostra economia e quella degli altri paesi europei. Da qui la minor tutela dei redditi alla quale si accenna nella domanda: è per questo che abbiamo unitariamente presentato, prima a Prodi, poi a Berlusconi, la piattaforma su occupazione e fisco. Il nodo irrisolto resta quello di aumentare i redditi da lavoro dipendente e le pensioni. Non solo per una ragione evidente di giustizia ed equità, ma anche perché questa sarebbe la leva fondamentale per rilanciare i consumi in una fase nella quale l’economia è sostanzialmente ferma. Il Governo non lo fa, smentendo tra l’altro le promesse fatte in campagna elettorale. Il problema della quarta o della terza settimana, unito a quello della precarietà del lavoro, determina quel fenomeno ormai diffuso di insicurezza sociale. La ricerca che abbiamo commissionato sui cittadini lombardi parla chiaro: anche in questa Regione, ricca e avanzata, cresce l’insicurezza rispetto al domani, perché viene meno la certezza di un lavoro fisso e quindi di un reddito sicuro.


L’esito delle ultime elezioni, pur nella distinzione tra rappresentanza politica e sociale, ha riaperto un dibattito sul voto di ampi strati di lavoratori dipendenti verso il centro destra, fattore ancora più evidente nella nostra regione. Anche alla luce degli accordi realizzati con il governo Prodi, certamente più tutelanti verso il mondo del lavoro, quali ritieni siano le ragioni di questo distacco?

Fin dalla nascita del fenomeno leghista la Cgil lombarda ha cercato di capire ragioni e dimensioni di un fenomeno preciso: un’alta e crescente adesione al sindacato confederale (e alla nostra Confederazione in particolare) e un orientamento politico elettorale che, in misura non residuale anzi incrementale, guarda alle forze del centro destra.
Il messaggio che ci viene è quello di un numero importante di nostri iscritti che, nel luogo di lavoro, si fidano della Cgil, identificata come un sindacato serio, forte, affidabile, che sa tutelare i loro interessi relativi al rapporto di lavoro e che, fuori dall’azienda, ritengono di essere meglio rappresentati e tutelati dall’offerta politica del centro destra e della Lega in particolare. È qualcosa che deve far riflettere. Il nodo è la presenza sul territorio. Non a caso abbiamo dedicato tanta parte della recente Conferenza di Organizzazione al tema del nostro reinsediamento nel territorio e dell’urgenza di allargare i confini della contrattazione, andando oltre il solo ambito aziendale. Anche perché sino ad ora è valsa questa sorte di dicotomia tra scelta sindacale in azienda e scelta politica – elettorale fuori. Non è affatto garantito che continui tutto così e, in ogni caso, tutto questo mette in discussione la nostra capacità di condividere con gli iscritti quell’insieme di valori (solidarietà, tolleranza, cultura dei diritti) che è il fondamento di un grande Sindacato confederale e generale come la Cgil. Poi è la politica a doversi interrogare per quanto le compete. In una riunione, un nostro iscritto che vota Lega mi ha detto. “Nel paese dove abito, quando c’è un problema gli unici che sono presenti sono quelli della Lega; sono giovani, competenti, concreti. Gli altri politici, anche quelli di sinistra, li vedo solo in televisione”. A buon intenditor….


In Lombardia si è consolidato un consenso alle politiche del centro destra ed anche alle posizioni della Lega che conferma nella nostra regione un blocco sociale molto coeso. Ad una debolezza ormai cronica nel centro sinistra, che non riesce a realizzare un’opposizione visibile, si unisce una forza organizzata del sindacato confederale numericamente molto forte, ma politicamente debole. Quale giudizio tracci su quanto avvenuto in questi anni?

Sono stati e sono anni molto difficili. In Lombardia viviamo una contraddizione palese: il modello di governo voluto e costruito con determinazione da Roberto Formigoni gode di un consenso molto ampio e consolidato, nonostante che le quotazioni politiche del Presidente della Regione appaiano in netto calo a Roma come a Milano. Il centro sinistra è da tempo in grande difficoltà, in crisi di idee e di visibilità, con le ormai tradizionali e ben conosciute difficoltà a comunicare in modo appena decente. Formigoni ha nei fatti svuotato ruolo e funzioni del Consiglio regionale, rendendo oggettivamente più difficile fare opposizione e farlo sapere. Il Sindacato ha cercato, con alterna fortuna, di affermare un proprio ruolo negoziale con la Regione Lombardia. Alcuni risultati sono stati raggiunti, ma certo non abbiamo pienamente corrisposto alle nostre aspettative ed esigenze. Non è stato e non è facile perché la Giunta regionale non ha mancato occasione per far intendere di non considerare una priorità il confronto con le parti sociali, di preferire le occasioni dove utilizzare un’ampia gamma di interlocutori nel ruolo di “ratificatori” di decisioni politiche già assunte e, alcune volte, di voler scegliere tra le parti gli interlocutori di volta in volta più disponibili. Come è evidente, ci aspetta un lavoro di lunga lena: dobbiamo anzitutto cercare di affermare il ruolo pieno delle parti sociali nei confronti negoziali con la Regione Lombardia, per questo determinando un più continuo e fattivo coinvolgimento ed una più alta consapevolezza delle nostre strutture confederali e di categoria.


Non ritieni che il processo nazionale di devoluzione e la preannunciata riforma fiscale, unita ai poteri che negli anni si sono già trasferiti alle regioni, necessiti di un’analisi più compiuta della Cgil? Quali pensi siano i punti su cui realizzare un nostro reinsediamento e una nostra presenza nel territorio, luogo posto anche al centro della Conferenza di organizzazione della Cgil?

Penso sia essenziale per la Cgil e per tutto il Sindacato confederale misurarsi nel merito con il tema e le proposte in materia di federalismo e di federalismo fiscale in particolare. Su questi temi si dice tutto ed il contrario di tutto. Non siamo nati ieri e sappiamo che non basta pronunciare la parola magica “federalismo” per parlare di cose positive ed utili. C’è una concezione di federalismo che non ci piace ed è quella non solidale, poco attenta al tutto e molto orientata a favorire e rispondere alla logica del più forte. C’è una concezione di federalismo che non ci piace perché implica processi anche molto profondi di accentramento. Del nostro reinsediamento ho detto e, molto meglio di me, dicono le conclusioni della Conferenza di Organizzazione. Abbiamo scelto il territorio come luogo privilegiato del nostro reinsediamento ed abbiamo indicato non solo la quantità delle nostre presenze nel territorio, ma soprattutto la qualità sindacale con cui decidiamo di starci. Ancora una volta si torna alla chiave di volta del nostro ragionamento: come allarghiamo i confini della contrattazione e, di conseguenza, quelli della nostra rappresentanza.


L’ultimo anno, ma anche queste settimane, hanno riportato al centro delle questioni nazionali, e della Lombardia, la questione Alitalia e del trasporto aereo. Contemporaneamente è aperta la crisi delle Ferrovie dello Stato e del gruppo Tirrenia. In ogni crisi o vertenza il ruolo giocato non solo dai sindacati dei trasporti ma dalle confederazioni ha fatto comprendere quanto la questione trasporti è diventata centrale nel paese.
Con la Regione Lombardia è aperto un tavolo di confronto, dopo anni di assenza di incontri, sul tema del trasporto pubblico locale, sia su gomma che ferroviario. E’ evidente che l’attuale livello delle infrastrutture nella regione, nonché del servizio pubblico, in quantità e qualità, non è idoneo alle esigenze della comunità economica e dei cittadini.


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