La logica (che non va) dello stato nello stato





Intervista a Susanna Camusso, Segretario Generale
CGIL LOMBARDIA


LA LOGICA (CHE NON VA) DELLO STATO NELLO STATO
Rassegna Sindacale n. 23 / giugno 2008


Sollecitata dall’attivismo della giunta Formigoni ma anche profondamente convinta che la partita del federalismo
vada giocata alzandone il segno, la Cgil della Lombardia ha affrontato da tempo questo tema (segnaliamo, tra i materiali pubblicati, i due seminari allegati al numero 34/2007 di Rassegna). Ne parliamo con Susanna Camusso, segretario generale della confederazione regionale.

Rassegna
Su quali temi si è mossa l’iniziativa della Lombardia?

Camusso
Su quattro ordini di questioni (semplificazione, sussidiarietà, articoli 116 e 117 della Costituzione, federalismo fiscale)
sui quali ha iniziato a lavorare attorno al 2003-2004, durante il penultimo governo Berlusconi. Un’idea giusta, quella della semplificazione normativa, è stata utilizzata come alibi per ampliare a dismisura i poteri della giunta rendendo residuali quelli del consiglio. Il principio di sussidiarietà, variamente reiterato nelle leggi regionali e oggi tradotto nello Statuto, contiene un’evidente contraddizione tra il concetto di sussidiarietà verticale, messa a profitto per ricostituire un potere centralistico della Regione, e quello di sussidiarietà orizzontale che ha portato a riconoscere qualunque soggetto, singolo o associato, come capace di soddisfare un bisogno riconosciuto dalla Regione. Cade così il principio della universalità dei diritti e dell’eguaglianza dei cittadini, assieme a qualunque funzione programmatoria da
parte dell’istituzione pubblica, mentre l’unico rapporto tra Regione e cittadini si riduce nella distribuzione di risorse finanziarie pubbliche. Con il “buono scuola”, ad esempio, non si parte dal principio del diritto allo studio come diritto di cittadinanza costituzionalmente garantito, ma dall’idea che la Regione debba agevolare chi sceglie di frequentare una scuola privata. Dunque viene meno il principio di una scuola pubblica laica, garantita a livello nazionale, a favore di una
scuola privata che, a seconda delle maggioranze in Regione, può essere di stampo confessionale o leghista.

Rassegna
C’è poi la controversa questione delle competenze concorrenti ed esclusive tra Stato e Regioni…

Camusso
Su questo tema la Lombardia ha compiuto alcune scelte condivisibili, altre criticabili. Tra queste ultime, la rivendicazione di una serie di competenze che porterebbero a fissare i parametri d’inquinamento a livello regionale: un’ipotesi sbagliata non solo perché essi vanno definiti da autorità sovranazionali, ma anche perché s’introducono forme di concorrenza sleale tra imprese operanti in regioni contigue. Infine, riguardo al federalismo fiscale, il progetto della Lombardia è da respingere perché si muove in una logica di Stato nello Stato, approfittando di una condizione di vantaggio che non è frutto della cosiddetta “operosità padana”, ma della distribuzione di risorse che storicamente si è
realizzata nel nostro paese. Inoltre per alcune imposte, come Iva e Irap, stabilire una diretta corrispondenza tra entità
del gettito fiscale e territorio è insostenibile perché si tratta di entrate che non sono corrispondenti alle attività
svolte nella regione: come se il Piemonte pretendesse che tutte le entrate fiscali derivanti dalla vendita di prodotti Fiat dovessero far riferimento a quella regione.

Rassegna
Come affrontare questo tema che riguarda la distribuzione di risorse tra regioni ricche e povere per garantire
il sistema di welfare?

Camusso
Il punto di partenza non deve essere il costo della prestazione ma la garanzia di un diritto al cittadino che lo Stato deve assicurare a tutti nello stesso modo e in tutte le situazioni. In altre parole, la base delle risorse disponibili per il sistema di welfare in ciascuna regione non deve essere calcolata sul pil prodotto da quest’ultima ma sulle caratteristiche della popolazione di riferimento e del territorio in cui esso vive. Solo a questo punto si può ragionare
sul costo dei servizi, contrastando le diverse forme di sprechi e di corruzione presenti nelle amministrazioni regionali.
Il tema del federalismo fiscale non si esaurisce però solo nella contrattazione di gettito fiscale tra Stato e Regioni
per continuare a svolgere le stesse funzioni, creando magari ulteriori centralismi.
Pensiamo che Regioni ed enti locali debbano poter contare su risorse proprie, più consistenti delle attuali,
per occuparsi di sistemi territoriali, politiche per lo sviluppo, infrastrutture necessarie ad attirare investimenti. In
questo caso ha senso stabilire per le singole istituzioni un principio di responsabilità, di efficacia e di efficienza
del loro operato, stabilendo un rapporto tra ciò che viene prodotto in un territorio e le risorse di cui esso può disporre.
In estrema sintesi, il gettito fiscale potrebbe suddividersi in tre parti, la più consistente finalizzata alla garanzia dei diritti dei cittadini, un’altra indirizzata alle Regioni per le politiche di sviluppo e un’ultima, che attualmente viene drenata dalle Regioni, dovrebbe andare direttamente agli enti locali, Comuni e Province, i soggetti che oggi effettuano il maggior volume di spesa pubblica nel territorio.

ANNA AVITABILE

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