Quelle donne colpevoli di non diventare madri



QUELLE DONNE COLPEVOLI DI NON DIVENTARE MADRI
Rassegna Sindacale n. 2 / 2008


Susanna Camusso, Segretario Generale CGIL Lombardia

Come parlare di 194 senza provare insofferenza al ritornello dell’ “eticamente sensibile”, nuovo made in Italy di uno Stato non laico? L’appello di Ferrara alla “moratoria” e' una caccia al colpevole la cui vetta sta nell’affermazione: “io non giudico loro, giudico l’omicidio”.
"Loro" sono le donne, ree di non diventare madri; omicidio è il termine scelto per imporre l’idea che la vita coincida con il concepimento. La prossima puntata sarà l’accusa di istigazione a delinquere per tutte coloro che non traducono un pensiero di maternità in concepimento?
C'e' della cecità nel negare che tra il concepimento e la nascita non c'e' un contenitore passivo ma corpo, mente, desiderio, amore, libertà, salute e progetto di una donna.
Basterebbero le parole già dette: la diminuzione degli aborti, la prevenzione e i consultori, il rifiuto della colpevolizzazione. Queste parole hanno riempito le piazze, lo testimoniano le tante esperienze del movimento delle donne, quelle che non vogliono rispondere a questa crociata perché non si sentono interpellate dall’offesa e quelle che nei consultori, negli ospedali, nei centri antiviolenza, quotidianamente resistono e operano nonostante gli obiettori.
Se quelle parole non bastano e' perché la 194 non è il fine ma lo strumento per un attacco su più fronti:
1) la libertà delle donne, l’autodeterminazione e la responsabilità hanno fatto sì che le nostre figlie affrontino la sessualità e la maternità con una maturità che a noi non era data.
Quella liberta' ha corroso il dominio maschile sul corpo riproduttore e sulla sessualità; un tema non antico se le ragazze sono le prime a manifestare contro la violenza maschile sulle donne. E’ evidente che la libertà femminile determina una crisi del maschile, perché è libertà del proprio corpo, presenza sulla scena pubblica e nel lavoro, parola politica.
Perchè non interrogarsi sulla propria identità in relazione ad un'idea di donna non nemica da sottomettere ma "altro da sé", con la quale stabilire relazioni rispettose? Questo vorrebbe dire rimettere tra uomini e donne passione, desiderio, sessualità, progetto e politica come condivisione. Ben altro percorso da quello espresso con aggressività misogina in quell'appello che materializza la separazione tra persona e contenitore. Ha forse ragione chi sostiene che la speranza fondamentalista è quella di sottrarre il nascituro al corpo della donna? A proposito di controllo “morale” sulla scienza!
2) Sul corpo e sulla funzione riproduttiva si sta esercitando l'operazione di ridare alla religione un ruolo politico e di governo. La rivendicazione sistematica di una legislazione su libertà e diritti dei cittadini funzionale alla “verità rivelata” fa arretrare l’idea di cittadinanza.
Rappresenta anche una riedizione del conflitto tra religioni, in chiave non di distinguo sull'oppressione delle donne ma di supremazia.
Pare esserci un “bisogno” comune di perimetrare i comportamenti, e la diversità di credo diventa il modo, non il fine. Così si capisce perché la violenza sessuale non sia tema “eticamente sensibile”, perché la famiglia costituisca un luogo impenetrabile alla giustizia umana sia elevata a “luogo naturale” e perché sulle donne migranti, alle quali non si riconosce libertà e parola, si invochi l'autorità delle comunità religiose. Non ci si interroga se il tasso più' alto di aborto tra le migranti, così strumentalizzato, sia frutto dell’intreccio tra le colpevoli manchevolezze del nostro sistema di “accoglienza” e una certa passione per la multiculturalità che invoca le tradizioni, impermeabile ai principi, almeno fin quando non si "toccano le nostre donne". Si finge di non vedere nell’intima convinzione maschile che il monopolio sociale e politico abbia ancora delle possibilità?
3) Nel mondo, attraversato da tante guerre, le gerarchie possono ridefinirsi e il ruolo delle religioni non può essere ignorato. La stessa distinzione fondamentale tra pubblico e privato perde valore se lo Stato perde di laicità, se parole come prevenzione e contraccezione assumono la connotazione di “reati”. E' per il termine “eticamente sensibile” che va proposta una moratoria; muta il senso stesso della democrazia se non si ha il coraggio di dire che la libertà di autodeterminare la propria vita non può avere condizionamenti di sesso, di razza, di censo. “Non Possumus”, disse Città del Vaticano, e suonò a condanna di tutti coloro che vogliono essere liberi di fare scelte diverse senza ledere la libertà di chi non le condivide. Allora basta difendersi, ogni volta, da un attacco che sposta l’inizio della vita e addita le carnefici. Vita è perché una donna la porta nove mesi nel proprio corpo; senza quel corpo, quella vita non è e non sarà. Come dice il poeta:”poi la voglia svanisce e il figlio rimane, e tanti ne uccide la fame. Io forse ho confuso il piacere e l’amore ma non ho creato dolore” (F. De Andrè)


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