Un contributo sulle attuali vicende sindacali, di Nino Baseotto, segretario generale Cgil Lombardia e di Alberto Tomasso, segretario generale Cgil Piemonte


venerdì 7 gennaio 2011

Al di là di facili messaggi propagandistici, vogliamo anzitutto richiamare alcuni aspetti di contesto dell’attività odierna di Fiat:

• nel 2009 ha prodotto 650 mila auto in Italia, cioè un terzo di quelle realizzate nel 1990, mentre nei maggiori paesi europei i livelli produttivi sono cresciuti o rimasti stabili;

• Fiat investe meno dei propri concorrenti europei in ricerca e sviluppo, ed è scarsamente attiva nel campo delle fonti di propulsione a basso impatto ambientale;

• a differenza di quanto avvenuto tra il 2004 e il 2008, negli ultimi anni la Fiat non ha introdotto nuovi modelli ed ha fatto registrare una diminuzione della propria quota di mercato;

• tra la fine degli anni ottanta e i primi anni duemila, Fiat ha ottenuto contributi pubblici dal Governo italiano stimati nell’ordine di 500 milioni di euro l’anno, beneficiando soprattutto di una posizione di monopolio quale unico produttore di auto nel nostro Paese;

• anche con riferimento alla vicenda Chrysler, tutti gli analisti convengono sul fatto che Fiat stia progressivamente assegnando sempre maggiore importanza alla dimensione finanziaria .

Questi dati, sia pure nella loro estrema sinteticità, ci paiono indicativi e meritevoli di attenta considerazione e valutazione.
In questi giorni, infatti,i stiamo assistendo con preoccupazione crescente ad un succedersi di eventi che rischiano di compromettere non solo il futuro dei lavoratori e delle relazioni industriali, ma il ruolo stesso del Sindacato,la sua autonomia e la sua confederalità.

L’accordo separato di Pomigliano prima e poi, ancor più gravemente, quello di Mirafiori, costituiscono un attacco di inaudita gravità ai principi democratici e di rappresentanza nei luoghi di lavoro oltre a definire, per forma e contenuti, un arretramento delle condizioni e dei diritti dei lavoratori ed un inaccettabile modello di sindacato aziendalista.

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