Block Notes n. 20, novembre 2010
 

 

Dipartimento Welfare e nuovi diritti della Cgil Lombardia
A cura di E. Lattuada, E. Naldi, G. Roversi e M. Vespa

In questo numero:
1. Dalla stampa di settore
Rapporto Ocse sull’obesità.: per frenare l’epidemia è urgente investire in prevenzione
Liste di attesa: il piano di Fazio
Piano sanitario nazionale: stop ai piccoli ospedali
Agenas su accreditamento. Privati “patentati” dal 2011
Disco verde al “Taglia attese”
Parti sicuri: decalogo del ministro. Scure sui mini punti nascita
Diabete: 11 miliardi di spesa
Piano sanitario nazionale custode dei Lea. Dodici azioni per rilanciare il Ssn

2. Dalle Agenzie di stampa regionali
Bilancio socio sanitario: la mannaia si abbatte sul sociale

1. Dalla stampa di settore
Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 36, del 28 settembre-4 ottobre 2010
Rapporto Ocse sull’obesità.: per frenare l’epidemia è urgente investire in prevenzione.
I danni che l’obesità provoca al corpo, con una perdita media di 8-10 anni di vita, equivalgono a quelli subiti da un accanito fumatore. Nella maggior parte dei Paesi Ocse questa malattia sta diventando il nemico numero uno per la salute pubblica. Ogni 15 Kg di peso in eccesso, il rischio di morte prematura aumenta del 30%. In dieci Paesi Ue è dimostrato che l’obesità dimezza la probabilità di vivere una normale vita attiva. La ricaduta in termini di oneri economici sui sistemi sanitari nazionali è pesante ed in continua crescita: la spesa per una persona obesa è superiore del 25% a quella per una persona con peso normale ed i costi crescono in maniera esponenziale con l’aumento di peso. L’obesità è responsabile di circa l’1-3% della spesa sanitaria totale (del 5-10% negli Usa) ed il numero degli obesi continuerà a salire nei prossimi anni. Il fenomeno si è aggravato negli ultimi decenni, come una vera epidemia, fino al 1980, si legge nel Rapporto Ocse “L’obesità e l’economia della prevenzione: fit not fat”, era obesa meno di una persona su 10; da allora i tassi sono raddoppiati o triplicati e nella metà dei Paesi dell’area una persona su due è soprappeso od obesa e le previsioni indicano che entro dieci anni più di due persone su tre saranno soprappeso in Paesi come gli Usa, l’Inghilterra o l’Australia. Il problema colpisce le donne più degli uomini ed è più diffuso tra le persone con più bassi livelli di reddito o di istruzione. Un importante fattore è rappresentato anche dalla familiarità: i bambini con almeno un genitore obeso hanno una probabilità 3-4 volte maggiore di essere obesi; la causa è in parte genetica, ma soprattutto legata agli stili di vita: dieta poco salutare e vita sedentaria. La ricetta vincente resta quindi quella di investire in prevenzione.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 37, del 5-11 ottobre 2010
Liste di attesa: il piano di Fazio.
Le prestazioni ambulatoriali urgenti vanno eseguite entro 72 ore, quelle comunque indifferibili entro 10 giorni, le prestazioni differibili entro 30 giorni le visite e entro 60 giorni gli accertamenti diagnostici. A decidere sui tempi di attesa saranno le Regioni e le aziende nei loro piani locali. Sono le previsioni del Piano nazionale di governo delle liste di attesa presentato dal ministro alla conferenza Stato-Regioni, il cui obiettivo è “promuovere la capacità del Ssn di intercettare il reale bisogno di salute, di ridurre l’inappropriatezza e di rendere compatibile la domanda con la garanzia dei Lea”. Il Piano aggiorna l’elenco delle prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative di assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera per cui vanno fissati i tempi massimi di attesa, individua le aree cardiovascolare e oncologica come prioritarie per lo sviluppo dei percorsi diagnostico-terapeutici (Pdt) e fissa i relativi tempi massimi, prevede l’utilizzo di una parte delle risorse per gli obiettivi del Psn anche per realizzare i Cup, promuove la valutazione ed il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva, individua gli strumenti di rilevazione per il monitoraggio dei tempi di attesa, promuove le modalità di utilizzo dell’intramoenia per il governo delle liste di attesa, che potrà essere utilizzata direttamente dalle aziende, in caso di mancanza di disponibilità di prestazioni. Per tutte le prestazioni da tenere sotto controllo (58 sono considerate a maggior rischio di attesa) il tempo massimo di attesa individuato dalla Regione dovrà essere garantito al 90% degli utenti presso le strutture indicate nel “Piano attuativo aziendale”, che dovrà essere approvato entro 60 giorni dall’adozione di quello regionale.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 38, del 12-18 ottobre 2010
Piano sanitario nazionale: stop ai piccoli ospedali.
Il nuovo schema sui contenuti del Piano sanitario nazionale 2011-13 presentato dal ministro alla Commissione Salute alla Conferenza delle Regioni si caratterizza per gli obiettivi di salute ed introduce regole per la programmazione che, in nome del federalismo, dovranno poi trovare spazio nei piani sanitari regionali. Il documento sottolinea l’inversione di tendenza rispetto alla pletora medica degli anni ‘80, che porterà dal 2012 al 2018 ad una carenza di medici di 18.000 unità nel Ssn, che salirà a 22.000, considerando anche il privato. Il secondo aspetto riguarda la questione dei piccoli ospedali, che hanno una difficoltà ad acquisire una complessità adeguata, per garantire la capacità dei professionisti ed il raggiungimento dei livelli di qualità necessari a minimizzare i rischi per pazienti ed operatori. Per questo la previsione è di una doppia integrazione: verso gli ospedali maggiori e verso le funzioni assistenziali distrettuali. I piccoli ospedali in Italia nel 2007, secondo una rilevazione del Ministero del Welfare, erano 296 (per un totale di 15.579 p.l.), di cui 157 con meno di 60 p.l. (per un totale di 5.181 p.l) e 139 con p.l. tra 60 e 90 (per un totale di 10.398). In Lombardia i presidi con meno di 60 p.l. erano 12 (con 406 p.l.), quelli con p.l. tra 60 e 90 erano 17 (con 1.270 p.l.), per un totale di 29 presidi e 1.676 p.l. Il Psn prevede che la trasformazione debba partire contestualmente al pieno funzionamento della rete di emergenza-urgenza, allo sviluppo delle cure domiciliari, alla disponibilità di strutture residenziali (riabilitazione e strutture per anziani non autosufficienti). Per la riorganizzazione complessiva delle reti ospedaliere, accanto agli ospedali di alta specializzazione, sono necessari: la riduzione dei p.l. per acuti, la connessione dei sistemi di emergenza (118), la connessione informatica tra Dea di I e II livello, per il controllo in reti integrate delle patologie acute e la qualificazione dei p.l. di riabilitazione. Il distretto dovrà assumere il pieno governo dell’assistenza primaria, attivando gli ambiti assistenziali per gestire la continuità delle cure, soprattutto nelle cronicità. Due le sfide assistenziali: l’assistenza sociosanitaria alla non autosufficienza e l’incremento dei costi per lo sviluppo di tecnologie e nuovi farmaci, che assorbiranno larga parte delle risorse aggiuntive.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 39, del 19-25 ottobre 2010
Agenas su accreditamento. Privati “patentati” dal 2011.
L’obiettivo dell’accreditamento istituzionale definitivo delle strutture ospedaliere e ambulatoriali private entro il 1° gennaio 2011 può essere raggiunto, ma per le altre strutture sanitarie e per le strutture sociosanitarie private sarà necessaria una proroga, almeno fino al gennaio 2013. La Finanziaria 2007 (L. 296/96) aveva fissato il termine per il completamento del processo di accreditamento istituzionale dei privati abilitati ad operare per il Ssn entro il 1° gennaio 2010, prorogato all’1/1/2011 dalla Finanziaria 2010. Dalla ricerca Agenas risulta che su un totale di 13.224 strutture private ne risultano definitivamente accreditate il 54,2%, a fronte del 39,1% registrato l’anno scorso; quelle provvisoriamente accreditate sono il 19,2%, mentre il restante 26,7%è rappresentato da strutture diversificate, di carattere sociosanitario. Il 27% delle strutture (3.643) è concentrato nell’Italia Nord occidentale (Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria) ed è stata accreditata definitivamente per l’89,9%. Nell’Italia meridionale vi sono il 24% delle strutture (3.172) e la percentuale più bassa di accreditamento definitivo (24,1%). L’Italia insulare ha il 18% delle strutture (2.349), l’Italia Nord orientale il 17% (2.216), in gran parte accreditate provvisoriamente (il 37,3%). In coda l’Italia centrale con il 14% (1844). Le strutture più numerose sono le residenze sociosanitarie (6.348), che sono il 48% del totale delle strutture accreditate e contrattualizzate con il Ssn; si tratta di Rsa (21% del totale, accreditate definitivamente al 63,3%), strutture di riabilitazione e residenze per disabili (16%), strutture per dipendenza patologiche (5%) e per persone con problemi psichiatrici (6%). La specialistica ambulatoriale rappresenta il 47% delle strutture (6.204 ambulatori); gli hospice e le residenze per malati di Aids sono una quota minima, con 111 strutture, pari all’1% del totale. Il 4% è rappresentato dalle case di cura (543), accreditate definitivamente per il 65,2%.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 41, del 2-8 novembre 2010
Disco verde al “Taglia attese”.
La Conferenza Stato-Regioni ha approvato definitivamente, nella seduta del 28 ottobre, il Piano nazionale delle liste di attesa (v. Il Sole 24ore n. 37). Meglio definiti nel testo approvato l’utilizzo e l’attività di vigilanza sulla libera professione dei medici, da utilizzare in caso di ridotta disponibilità, anche temporanea, delle risposte istituzionali: sarà sostenuta economicamente dall’azienda e sarà tenuta distinta dalle prestazioni libero-professionali erogate su richiesta dell’utente. Per queste ultime le Regioni dovranno garantire prenotazioni separate e attivare ulteriori controlli su volumi e relativi tempi di attesa, per evitare forme di concorrenza o di dirottamento dalle prestazioni istituzionali a quelle in libera professione. Il piano punta sui controlli: per le prestazioni ambulatoriali sono da effettuare rilevazioni in settimane campione, per i ricoveri l’uso obbligatorio delle agende di prenotazione su modelli predefiniti dal ministero.

Parti sicuri: decalogo del ministro. Scure sui mini punti nascita.
Addio ai 158 punti nascita che effettuano meno di 500 parti all’anno e rimodulazione degli altri 190 che ne effettuano meno di mille, che sopravvivranno solo in caso di dimostrata difficoltà di attivazione dei servizi di trasporto assistito materno. La scure sulle mini-strutture, dove i cesarei raggiungono il 50%, contro il 34,9% delle altre, è prevista nelle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo” presentate dal ministro alle Regioni, che rappresenta una prima risposta ai casi eclatanti di malasanità esplosi recentemente in sala parto. Il programma nazionale prevede 10 linee d’azione: 1) misure di politica sanitaria: razionalizzazione-riduzione progressiva dei punti nascita con meno di 1.000 parti l’anno, distinzione dei centri in due livelli, definendone requisiti organizzativi, strutturali e tecnologici, attivazione-completamento del sistema di trasporto assistito materno e neonatale d’urgenza, incentivi-disincentivi economici e tariffe tarate sulla qualità; 2) carta dei servizi per il percorso nascita; 3) integrazione ospedale-territorio per la presa in carico, la continuità assistenziale, l’umanizzazione della nascita, favorendo le dimissioni protette con l’assistenza a domicilio da parte del consultorio familiare e del pediatra di libera scelta; 4) elaborazione e diffusione di linee-guida sulla gravidanza fisiologica e sul taglio cesareo; 5) implementazione delle linee-guida; 6) elaborazione e diffusione di raccomandazioni e percorsi per la sicurezza del percorso nascita; 7) procedure di controllo del dolore nel corso del travaglio e del parto, garantendo la parto analgesia, anche con la diffusione di protocolli diagnostico-terapeutici; 8) formazione degli operatori; 9) monitoraggio delle attività; 10) istituzione di una funzione di coordinamento nazionale permanente per il percorso nascita.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 42, del 9-15 novembre 2010
Diabete: 11 miliardi di spesa.
Nel nostro Paese il diabete colpisce 4 mil. di persone, provocando 75mila infarti, 18mila ictus, 20mila casi di insufficienza renale cronica, 5mila amputazioni degli arti inferiori, 18mila morti l’anno. I costi del diabete sono raddoppiati nell’ultimo ventennio, passando dai 5 mld. del 1998, pari al 6,7% della spesa totale in sanità agli 11 mld. di oggi, circa il 10% della spesa sanitaria. Il 55% delle persone con diabete è maschio, il 56,6% ha oltre 65 anni, il 35,4% tra 45 e 65 anni, ma l’8% ne ha meno di 45; complessivamente quasi una persona su 5 ha meno di 55 anni. Il 91,9% è colpito da diabete di tipo 2; di questi, uno su dieci ha tra i 45 ed i 55 anni, ma già 4 su cento ne hanno meno di 45, segno che la malattia, una volta definita “diabete senile”, è sempre più giovanile. I due terzi dei diabetici di tipo 2 sono obesi e solo meno del 20% risulta normopeso. Invece, nel diabete di tipo 1, l’obesità riguarda circa un quarto dei pazienti. Poco meno di un terzo (28,9%) delle persone con diabete di tipo 1 ed il 17,3% di quelli con tipo 2 fumano; il dato è particolarmente allarmante, dato il forte rischio di complicanze microvascolari correlate al fumo, soprattutto nel diabete di tipo 1. Sono alcuni dei dati contenuti negli Annali Amd, il rapporto nazionale sulla qualità dell’assistenza redatto annualmente dall’Associazione medici diabetologici, giunto alla quinta edizione, che ha introdotto per la prima volta un indice sintetico di misurazione (lo score Q) della qualità di cura dei Centri di diabetologia, ideato dal Consorzio Mario Negri Sud. Questo indice misura da un punto di vista qualitativo l’efficienza delle cure e quindi l’efficacia nel prevenire le complicanze tipiche del diabete, dall’infarto all’ictus, ai disturbi alla vascolarizzazione, alla mortalità, assegnando un punteggio sia alle modalità assistenziali, sia ai risultati ottenuti. Secondo il rapporto il grado di controllo della malattia nelle persone con diabete assistite dai centri italiani è buona; è quindi promossa a pieni voti la qualità dell’assistenza, anche se esistono ulteriori margini di miglioramento.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 43, del 16-22 novembre 2010
Piano sanitario nazionale custode dei Lea. Dodici azioni per rilanciare il Ssn.
L’ultima versione del Psn presentato dal ministro alle Regioni evidenzia le criticità del Ssn: l’inappropriatezza di alcune prestazioni ospedaliere, legate all’organizzazione ancora insufficiente della medicina generale e del livello territoriale, le lunghe liste d’attesa, l’ingiustificato livello di spesa farmaceutica in alcune regioni, un livello qualitativo dei servizi molto differenziato. La bozza di Psn 2011-13 propone dodici azioni per lo sviluppo del Ssn, con l’indicazione di obiettivi di processo e di modalità di valutazione. Le azioni sono: 1) rilanciare la prevenzione (potenziare l’attività informativa ed educativa dei Mmg per l’adozione di corretti stili di vita); 2) controllo dei determinanti ambientali (protocolli di collaborazione tra le diverse agenzia operanti sul territorio); 3) sicurezza nei luoghi di lavoro; 4) sanità pubblica veterinaria e benessere animale; 5) sicurezza degli alimenti e nutrizione; 6) Health impact assessment (percorsi formativi e task force multidisciplinari per l’integrazione delle competenze); 7) centralità delle cure primarie delle strutture territoriali (accordi attuativi aziendali per le cure primarie, sistema di valutazione performance cure primarie, aumento % Mmg aggregati in forme organizzative evolute, ampliamento assistenza domiciliare e cure palliative per pazienti oncologici e terminali); 8) riorganizzazione della medicina di laboratorio e della diagnostica (integrazione dipartimentale delle strutture nella rete aziendale, sovra-aziendale e regionale); 9) reti ospedaliere: problematica piccoli ospedali (riconfigurazione dell’offerta), riorganizzazione delle reti ospedaliere regionali (programmazione p.l. e definizione dei ruoli delle strutture per erogare prestazioni di ricovero appropriate), rete dell’emergenza urgenza (diffusione del triage, previsione percorsi alternativi al Ps per codici a bassa complessità, attivazione osservazione breve intensiva); 10) riabilitazione (definizione da parte delle regioni di percorsi appropriati per le diverse disabilità); 11) valutazione delle nuove tecnologie sanitarie; 12) investimenti per l’ammodernamento strutturale e tecnologico del Ssn.

2. Dalle Agenzie di stampa regionali
Da “Settegiorni PD”, notiziario del gruppo PD in Consiglio regionale.
È uscito il numero 118 del 26 novembre 2010.
Bilancio socio sanitario: la mannaia si abbatte sul sociale.
Un bilancio previsionale 2011 che rappresenta circa un quarto di quello del 2010. In generale il bilancio sociosanitario presenta tagli consistenti ma la mannaia è calata soprattutto sul riparto sociale (60 milioni di euro contro i 200 dell’anno precedente). Questo bilancio previsionale ha tagliato tutto tranne le questioni per cui esistono obbligazioni vincolanti. Sono stati infatti tagliati gli interventi sull’integrazione, sull’associazionismo, sulla disabilità e manca ancora la voce sui trasferimenti del fondo nazionale per la famiglia perché, diversamente dal passato, non sono ancora stati trasferiti. Sulla sanità è evidente che allo stato attuale non c’è il trasferimento dei fondi per gli interventi già previsti per l’ammodernamento e la messa in sicurezza degli ospedali pubblici. Dalle voci s’intuisce che si farà molto affidamento al lavoro di cura della famiglia al proprio domicilio. Non ci sono soldi per le cure sub-acute, o low care: si farà dunque ricorso al privato per garantire tutto questo. Inoltre, come già anticipato dalla presentazione delle regole di sistema, si prevede una riduzione del contributo alle aziende pubbliche.
 

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