l'Unità 29 gennaio 2011

Le donne ritrovano la rabbia di piazza:ora basta
La scrittrice Janeczek: si può davvero cambiare

C’è chi legge in questo freddo pomeriggio di mobilitazione milanese una conclusione a lungo attesa: la fine di una decennale stagione d’indignazione repressa o anestetizzata da un’attualità sempre più squallida, la rottura di un fragile equilibrio collettivo fatto d’indifferenza e di quieto lasciar vivere. E c’è chi vede nelle sciarpe e nei palloncini bianchi che invadono Piazza della Scala il simbolo di un nuovo inizio, più che un segno di lutto per lo stato in cui si trova il paese: il primo passo di un ampio movimento di riscossa civile che possa scrivere per il paese una storia diversada quella abbozzata dai festini di Arcore e dalla politica di corte che circonda il suo proprietario. Nessuno si limita alla gioia del ritrovarsi qui e ora, almeno diecimila donne e uomini, stipati come sardine nella più elegante piazza di Milano e nelle vie adiacenti per manifestare il loro sdegno, la volontà di esserci e di contare nel cambiamento, il coraggio della speranza. La protesta - nata da un appello di donne e uomini del sindacato cittadino, rilanciata sulle pagine di questo giornale, e diffusa sul web grazie a migliaia di adesioni e messaggi di solidarietà - comincia con un richiamo alla dignità personale e collettiva degli italiani. Ma cresce fino a presentarsi come il primo passo di un percorso più ampio di risveglio civico.

Gli interventi si susseguono a decine tra gli applausi e i cori che invocano le dimissioni del presidente del Consiglio. Prende la parola il direttore dell’Unità, Concita de Gregorio, che scherza presentandosi come«la nipote di Indira Ghandi» e invita a «ricostruire il paese, ognuno per quel che può fare, già da oggi », perché ci vorranno vent’anni e sono lontani i tempi in cui si manifestava per un amore libero «gratuito, consapevole e rivoluzionario». Si leggono i messaggi dello scrittore Luis Sepulveda, «la perseveranza nell’errore diventa irresponsabilità ed insulto alla vita istituzionale »; della presidente di Emergency Cecilia Strada, «è bruttounmondo che costringe le ragazze afgane a mettersi il burqa innomedella tradizione, ma è altrettanto brutto un mondo che spinge le ragazze italiane a togliersi le mutande, in nome del denaro e del potere»; della segretaria Cgil Susanna Camusso; della presidente del Pd Rosy Bindi, «mi unisco a voi nel grido, non siamo donne nelle sue disponibilità», e del leader di Sel Nichi Vendola, «la politica ha grosse responsabilità davanti a un Paese smarrito che vive al di sotto dei propri sogni e delle proprie possibilità». Arrivano anche Dario Fo e Franca Rame, l’attrice Lucrezia Lante della Rovere legge l’appello alle donne italiane pubblicato sulle pagine del nostro quotidiano. Nella folla si vedono i cartelli «Ilda sei grande, questa piazza ti chiede di resistere» e molti volti noti, tutto il centrosinistra milanese, il candidato sindaco Giuliano Pisapia, «la dignità delle persone è un valore fondativo della nostra società» e certo non aiuta vedere il primo cittadino Letizia Moratti «arrampicarsi sugli specchi delle differenze tra pubblico e privato». La comica Alessandra Faiella diverte sul prossimo declino degli «organismi chirurgicamente modificati»; gli interventi inviati da artisti come Moni Ovadia e Ottavia Piccolo si alternano a quelli di ragazzi e ragazze come Eva Lupo, ventenneromana: «La società sta scivolando come una valanga di neve. I nostri corpi di donnestanno gelando: private d’identità e idee, dobbiamo riappropriarci della nostra dignità ».

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