Livelli essenziali di assistenza: articolo di “monitor”.

fonte: Dalla Conferenza delle Regioni

Newsletter Regioni.it n. 1246 del 4 novembre 2008.

La “partita” sui livelli essenziali di assistenza si colloca in un contesto particolare. Sul confronto tecnico in corso fra il ministero del Welfare (Sottosegretario Fazio) e gli Assessorati regionali pende la “spada di Damocle” di una risposta che tarda ad arrivare. Si attende cioè di conoscere in che modo e con quali risultati si concretizzerà “l’intesa dei 4 punti”, in particolare laddove si stabilisce di “avviare fin da subito il tavolo per la definizione del nuovo Patto per la Salute 1010-2012. Tale Patto dovrà stabilire le regole e i fabbisogni condivisi, nel rispetto dei vincoli generali previsti dal Patto Europeo di Stabilità e Crescita, considerando che le Regioni valutano sottostimato il fabbisogno 2010-2011”.Nel frattempo può risultare utile una rilettura della “storia” dei livelli essenziali di assistenza nel nostro Paese. L’occasione la fornisce l’ultimo numero di Monitor, periodi dell’Agenas (l’agenzia nazionale per i servizi sanitari) che pubblica un articolo di Guido Carpani (già segretario generale della Conferenza Stato-Regioni) intitolato “I Livelli essenziali di assistenza nel panorama normativo”. “I LEA – scrive Carpani - definiscono non tanto i livelli minimi di assistenza sanitaria o i (soli)servizi che devono essere forniti per rispondere ai bisogni fondamentali di promozione, mantenimento e recupero del diritto costituzionale alla salute(art. 32),ma delineano una sorta di “cittadinanza nazionale” per tutti gli utenti del servizio sanitario, senza distinzioni conseguenti alla residenza. In un assetto istituzionale tendenzialmente federale in cui le differenze sono valutate positivamente, vi sono bisogni particolarmente meritevoli di una “tutela unificata”, che rifuggono le appartenenze territoriali ed esigenze di uguaglianza tra i cittadini connesse alla natura dei beni giuridici in gioco,a cui l’ordinamento non può rimanere indifferente. I livelli, in altri termini, costituiscono “il tasso di disuguaglianza accettabile” tra le istanze dell’autonomia e quindi, potenzialmente, della differenziazione e quelle dell’omogeneità ed uniformità legate all’effettività dei diritti sociali”. “Le indicazioni del Legislatore e del Giudice delle leggi sui LEA – prosegue il ragionamento di Carpani - consentono di trarre sul piano procedimentale alcune conclusioni. Anzitutto la competenza esclusiva del Legislatore statale sui LEP (e quindi sui LEA) riguarda non già tanto la loro materiale individuazione/ aggiornamento, quanto piuttosto la disciplina del procedimento (amministrativo) che porta alla loro definizione e alla fissazione di criteri idonei a indirizzare le scelte (di merito) rimesse al riguardo agli apparati burocratici competenti (regionali anzitutto)”. E’ quindi fondamentale che il procedimento debba “ispirarsi al principio della leale collaborazione tra i livelli di governo, considerato che – per quanto riguarda la tutela della salute – si ha a che fare con un servizio organizzato, nelle sue linee essenziali, a livello statale, ma articolato e affidato alla responsabilità delle Regioni. L’intesa con la Conferenza Stato-Regioni sui LEA, prevista dall’art. 6 del decreto legge n. 347 del 2001, costituisce la “traduzione del principio” nella fattispecie considerata. Si tratta invero di un’intesa cosiddetta “debole”, che deve ritenersi idonea ad assolvere l’obbligo costituzionale in ragione dello stretto legame di questa procedura con una competenza esclusiva dello Stato. Venuta meno la “subordinazione” dei livelli alle risorse, rimane pur sempre una doverosa loro coerenza con queste ultime”. “L’intesa della Conferenza Stato-Regioni sulla proposta di decreto sui LEA – conclude Carpani - è uno snodo essenziale. Essa si sostanzia in una sorta di “incontro di volontà” tra Governo e Regioni che la Conferenza predetta “promuove e sancisce”.Tipico strumento endoprocedimentale, l’intesa attesta la condivisione di un atto o documento (per l’appunto sottoposto alle Regioni per l’intesa attraverso la Conferenza) di competenza statale. Essa non fa venire meno la (formale) imputazione dell’atto e provvedimento a cui afferisce, che rimane nella responsabilità dello Stato, ma consente alle Regioni di condividerne i contenuti e di partecipare alla loro determinazione. Nel momento in cui il Governo “porta” in Conferenza lo schema di atto o provvedimento per il quale il legislatore ha previsto sia acquisita un’intesa con la Conferenza Stato-Regioni (prima della sua adozione) non può non essere disponibile a farsi carico delle eventuali richieste regionali dirette a modificare la proposta predisposta cercando – quanto è possibile – di “venire loro incontro”. Gli “attori” dell’intesa sono Governo e Regioni; attraverso l’assenso di entrambi si realizza la forma più stringente e incisiva di cooperazione paritaria tra i due livelli di governo”.

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