Block Notes n. 8, marzo 2012

 
Dipartimento Welfare e nuovi diritti della Cgil Lombardia
A cura di E. Lattuada, E. Naldi, G. Roversi e M. Vespa

In questo numero:
1. Dalla stampa di settore
Garbagnate Milanese. Cure intermedie step by step
Oasi 2011. Cure senza frontiere: sfida Ue
Oasi 2011. Il ticket taglia i costi del 15%
Consiglio di Stato. Ripiani solo per il pubblico
Relazione sullo stato sanitario 2009-10. Le sfide di un Paese anziano
Commissione parlamentare di inchiesta. Al Sud punti nascita a rischio
IRCCS, l’eccellenza non premia
Sanità Ue. Spesa italiana al decimo posto
La bozza (disconosciuta) delle Regioni per il nuovo Patto per la salute
Relazione 2010. Parti e cuore in intramoenia
Rapporto nazionale di monitoraggio dei Lea 2007-2009. Ancora troppo ospedale

2. Dalle Agenzie di stampa regionali
 A giugno parte il nuovo Call center sanitario lombardo

1. Dalla stampa di settore
Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 44, del 22-28 novembre 2011
Garbagnate Milanese. Cure intermedie step by step.
La sperimentazione delle “cure intermedie”, svoltasi nel presidio di Passirana dell’AO di Garbagnate e durata un anno, ha visto l’attivazione di 30 p.l., per l’accoglienza di pazienti provenienti dalle aree mediche ospedaliere, in genere anziani, con quadro clinico stabilizzato, ma impossibilitati a proseguire le cure a casa propria o in Rsa. L’analisi dei dati di utilizzo dei letti di Medicina dell’AO aveva evidenziato una durata della degenza superiore di 7 giorni rispetto alla media regionale, si trattava per più del 60% di pazienti era over 75, con prevalente patologia cronica vascolare. Da una precedente analoga esperienza effettuata a Milano sono stati tratti esempi concreti sul profilo del paziente e sull’intensità di assistenza, individuando parametri e costi, tenendo conto che il costo medio di una giornata di degenza in medicina in ospedale si attestava nel 2008 sui 235 euro. I parametri di assistenza della sperimentazione sono stati: 100 minuti di assistenza infermieristica paziente/die, presenza di un medico per almeno 8 ore al giorno, costo per giornata di degenza di 138,6 euro. Il prezzo è stato fissato con procedura ad evidenza pubblica, aggiudicata secondo i parametri qualità e prezzo, partendo da una base di gara di 140 euro. In un anno sono stati accolti 274 pazienti di cui oltre il 60% con più di 70 anni. Il 41% è tornato a casa e solo l’8% è tornato in ospedale. La media di giornate di degenza è stata di 26 giorni. Per la continuazione dell’esperienza, l’azienda ha scelto di procedere con la gestione diretta, quindi con l’arruolamento diretto di infermieri, medici ed operatori sociosanitari, adottando parametri di assistenza più impegnativi: 160 minuti di assistenza infermieristica paziente/die, presenza medica di 38 ore/settimana ogni 20 p.l., con una stima di costi intorno ai 170 euro al giorno.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 45, del 29 novembre- 5 dicembre 2011
Oasi 2011. Cure senza frontiere: sfida Ue.
Il 9 marzo 2011 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva (2011/24/Ue) sull’applicazione dei diritti dei pazienti all’assistenza transfrontaliera. L’esigenza della definizione di regole comuni tra gli Stati membri dell’Unione è nata a seguito di alcune sentenze della Corte Europea di Giustizia sui diritti dei pazienti, dell’incremento del turismo sanitario ed in parte come conseguenza dell’allargamento dell’Ue, che ha accentuato l’esigenza di affrontare le disomogeneità esistenti tra i sistemi sanitari dei paesi membri, sia sotto il profilo delle modalità di finanziamento, sia dell’erogazione dei servizi, nonché delle modalità di copertura delle spese sanitarie effettuate dai cittadini all’estero. La direttiva europea mira a fornire un quadro specifico per l’assistenza sanitaria transfrontaliera, stabilendo: 1) i diritti dei pazienti a ricevere assistenza sanitaria all’estero; 2) il diritto al rimborso; 3) il diritto dei pazienti ad informazioni adeguate sull’offerta di servizi disponibili, sulla loro qualità e sicurezza, garantendo la possibilità di una scelta informata sul luogo di cura. Il diritto al rimborso delle spese sostenute all’estero è subordinato alla possibilità per il Paese di origine di prevedere l’autorizzazione preventiva in caso di ricovero, di cure altamente specializzate e costose, che ci sia rischio per la salute del paziente o vi siano preoccupazioni rispetto alla qualità e alla sicurezza delle cure. La mobilità sanitaria rappresenta solo l’1% della spesa sanitaria dell’Unione. L’Italia nel periodo 2000-2008 ha accumulato un saldo netto di mobilità di 330 milioni di euro, per la maggior parte per cure ospedaliere, per il 50% verso la Francia, la Svizzera (20%), il Belgio (14%) e l’Austria (9%). Al contrario, l’Italia risulta creditrice verso il Regno Unito (43%), la Romania (18%), la Polonia (11%), la Grecia (8%) ed i Paesi Bassi (5%). La direttiva europea potrebbe favorire lo sviluppo di un turismo sanitario europeo soprattutto nelle zone di confine, con conseguenze sia per la spesa pubblica, sia per l’organizzazione dei servizi. La direttiva rappresenta comunque un passo avanti verso una maggiore integrazione dei sistemi sanitari europei, considerato che in alcune aree sono già in vigore, con risultati positivi, accordi transfrontalieri tra strutture sanitarie di Paesi diversi.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 46, del 6-12 dicembre 2011
Oasi 2011. Il ticket taglia i costi del 15%.
Le politiche regionali di governo dell’assistenza farmaceutica sono caratterizzate da forte eterogeneità, dovuta a diversi fattori: 1) la diretta responsabilità regionale sull’equilibrio economico-finanziario in caso di piani di rientro; 2) l’obbligo di copertura da parte delle regioni del disavanzo, nel caso si sfondamento del tetto della spesa farmaceutica ospedaliera, fissato al 2,4% delle risorse; 3) l’obbligo di copertura da parte delle regioni del disavanzo, nel caso si sfondamento del tetto della spesa farmaceutica territoriale, fissato al 13,3% del finanziamento complessivo del Ssn. Gli strumenti adottati dalle regioni si sono concentrati su azioni di governo della domanda (compartecipazione, governo del comportamento prescrittivo), su forme alternative di distribuzione dei farmaci (distribuzione diretta e per conto), sull’introduzione di prontuari terapeutici in ospedale ed in un accentramento delle procedure di acquisto. Le iniziative di contenimento della spesa hanno determinato un aumento più consistente della spesa privata rispetto a quella pubblica. L’adozione della compartecipazione alla spesa in forma di quota fissa per confezione ha prodotto in media un aumento della spesa a carico del paziente dell’11% ed una riduzione della spesa pubblica del 15%. Il Ssn copre oggi il 72,5% della spesa farmaceutica, contro il 74,4% del 2001. L’incidenza della compartecipazione sulla spesa convenzionata lorda nel 2010 era pari al 7,6% medio a livello nazionale, ma variava da un minimo del 3,4% nella P.A. di Trento al 10,8% in Sicilia. Tra le regioni non soggette a piani di rientro i valori più alti dell’incidenza della compartecipazione si sono registrati in Veneto (10,5%) ed in Lombardia (10,2%).

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 47, del 13-19 dicembre 2011
Consiglio di Stato. Ripiani solo per il pubblico. No all’appello di un ospedale classificato.
La quinta sezione del Consiglio di Stato è intervenuta con la decisione n. 6085/2011 sulla portata della “parificazione” tra ospedali pubblici e classificati, respingendo il ricorso in appello di una struttura classificata contro la regione Lazio, poiché nel piano di riparto dei finanziamenti regionali aveva riconosciuto alle strutture pubbliche il ripiano dei disavanzi. La parità tra ospedali pubblici e classificati, secondo questa decisione, non viene inficiata da una norma regionale che preveda il ripiano dei disavanzi soltanto per i primi, perché le strutture pubbliche “rappresentano la vera e propria ossatura del Servizio sanitario nazionale e il vero e proprio intervento diretto del Servizio sanitario nazionale nei confronti della collettività”, come previsto dalla L. 833/1978 e devono essere “per quanto possibile messe in condizione di lavorare”. Mentre le altre strutture “sono tutte in misura maggiore o minore complementari” dello stesso sistema. Ma c’è un’altra ragione per cui i privati classificati non possono invocare il salvataggio dai disavanzi: “il suddetto ripianamento compete al soggetto che ha la proprietà degli stessi, mentre le strutture private, per quanto classificate, hanno una diversa proprietà, alla quale compete, ai sensi della normativa generale, il prendere in considerazione la copertura delle eventuali perdite riscontrate”.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 48, del 20 dicembre 2011 – 2 gennaio 2012
Relazione sullo stato sanitario 2009-10. Le sfide di un Paese anziano.
L’Italia è più longeva e più sana, un quinto dei suoi 60 milioni di abitanti ha più di 65 anni e si muore anche di meno: dagli anni ottanta ad oggi la mortalità si è dimezzata, anche se i big killer continuano ad uccidere (sette persone su dieci muoiono ogni anno di malattie cardiovascolari e di tumori). La “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2009-2010” contiene la fotografia della salute degli italiani, accanto a quella dei servizi sanitari. Il grande balzo in avanti compiuto dalla riforma del 1978 (L. 833) ad oggi necessita ancora di un’attuazione concreta ed omogenea in tutto il Paese, questa esigenza però deve fare i conti con le scarse risorse a disposizione: il Ssn assorbe 111,168 mld. di euro all’anno, pari al 7% del Pil, con un disavanzo di 2,3 mld. di euro. Il giudizio del ministro sul nostro Ssn è comunque positivo: il nostro sistema è il secondo migliore al mondo. L’abbassamento della mortalità e il calo della morbilità sono due indicatori fondamentali di qualità: dal 2001 al 2008 la mortalità è calata del 13% per gli uomini e dell’11% per le donne, così come quella infantile, ridotta del 22% per i maschi e del 24% per le femmine. Cresce così la speranza di vita alla nascita: 78,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. Siamo un Paese anziano: il 20,3% della popolazione ha più di 65 anni e l’indice di vecchiaia (rapporto tra over 65 e under 15 anni) è pari al 144,5%.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 1, del 10-16 gennaio 2012
Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari. Al Sud punti nascita a rischio.
Si trovano soprattutto al Sud, sono quasi sempre sprovvisti di terapia intensiva e hanno il bisturi facile: almeno la metà dei 336 parti che effettuano all’anno avvengono con il taglio cesareo. Sono gli 86 punti nascita più a rischio sui 344 monitorati (su un totale di 540) dalla “Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario”. Agli 86 micro punti nascita che secondo gli standard del Ministero dovrebbero chiudere (la soglia minima di sopravvivenza fissata dalle linee-guida del 2010 è di 500 parti l’anno) si aggiungono altre 122 strutture medio-piccole che effettuano meno di 1.000 parti all’anno e che hanno spesso diverse pecche (organici all’osso, impossibilità di partorire con l’analgesia). Il 72% dei punti nascita è definito dalla Commissione “piccolo e fragile”, con una media di solo 56 parti al mese, solo il 27% delle strutture è dotato di terapia intensiva neonatale e si partorisce con epidurale solo nel 15% dei casi. Dai dati emerge la spaccatura tra Nord e Sud: i piccoli punti nascita con un numero di parti troppo basso per garantire sicurezza sono concentrati al Sud: il 47,3% dei punti nascita siciliani ed il 39,5% di quelli campani effettuano meno di 500 parti all’anno; in Toscana sono invece il 14,8% ed in Veneto il 7,3%. I parti cesarei sul totale sono il 26,6% in Toscana, il 29,5% in Veneto, il 47,3% in Campania ed il 52,9% in Sicilia; la media nazionale è del 35,4%. Così come si registra una distribuzione fortemente disomogenea dei reparti di neonatologia o del trasporto di emergenza neonatale, che manca nel 2,5% dei punti nascita veneti, nel 3,7% di quelli toscani, nel 19,5% di quelli campani e addirittura nel 73,4% di quelli siciliani.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 2, del 17-23 gennaio 2012
Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), l’eccellenza non premia.
I pochi fondi destinati agli Irccs in Italia non premiano chi fa la ricerca migliore, anzi in diversi casi finanziano a pioggia realtà che non portano innovazione; così almeno sembra guardando l’ultima ripartizione dei fondi per la ricerca corrente 2011 (oltre 158 milioni di euro) tra i 43 centri riconosciuti come Irccs (divenuti ora 45, con l’ingresso degli istituti di Bologna e Reggio Emilia). È chiaro che il numero di pubblicazioni e il relativo Impact Factor (IF) “normalizzato” non possono essere gli unici criteri per valutare l’eccellenza di una struttura, contano anche la qualità dell’assistenza e la capacità di gestione, ma salta comunque all’occhio l’incredibile distanza tra i 3.971 punti di IF del San Raffaele nel 2010, i 2.968 punti dell’Ospedale Maggiore di Milano, i 1.820 punti del San Matteo di Pavia e gli altri Irccs. Anche in questo caso il Sud misura la sua distanza dal Nord. Per arrivare a questi risultati contano i ricercatori impegnati (dai 46 del Neurolesi di Messina agli 838 del Maggiore), oltre al numero di trial avviati e ai pazienti impegnati, ma conta anche la capacità di attrarre altri finanziamenti, sia pubblici che privati. Sembra però che nella distribuzione dei finanziamenti la performance scientifica non pesi come dovrebbe: non sempre c’è un rapporto proporzionale tra IF e finanziamenti.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 3, del 24-30 gennaio 2012
Sanità Ue. Spesa italiana al decimo posto.
L’ultimo confronto europeo, a cura della Ragioneria dello Stato, non lascia più dubbi: nella classifica dei fondi pubblici destinati da ogni Paese Ue ai propri servizi sanitari, in proporzione al Pil, l’Italia è abbondantemente dietro a molti altri Paesi. E’ infatti al decimo posto tra i 25 Paesi Ue, avendo investito in sanità nel 2009 il 7,5% del Pil, meno di Danimarca e Irlanda (8,8% sul Pil), Regno Unito (8,5%), Francia (8,4%), Austria (8,3%), Belgio e Repubblica Ceca (8%), Finlandia (7,9%) e Slovacchia (7,8%). Risultano invece più “risparmiosi”, almeno rispetto all’incidenza sul Pil: Svezia (7,4%), Portogallo (7,1%), Germania (6,9%), Paesi Bassi 6,8%), Spagna (6,7%) e Grecia (6%). Se dagli “Health data 2011” risultava che la spesa sanitaria italiana era poco sotto la media dell’Ocse, ora con questi dati si ribadisce che anche in Europa nella spesa sanitaria non siamo tra i più spendaccioni, un dato importante da prendere in considerazione in un momento di tagli alla spesa pubblica. Se si considera poi il trend di crescita della spesa dal 2001 al 2009, il nostro Paese risulta quello in cui l’aumento è stato tra i più contenuti. Se nel 2001 spendevamo il 6,3% del Pil, nel 2009 siamo arrivati al 7,5%, lo stesso incremento (1,2%) registrato dalla Francia. Nella maggior parte degli altri Paesi la crescita è stata invece maggiore: Austria +1,3%, Belgio +1,5%, Irlanda +1,7%, Danimarca e Finlandia +2%, Regno unito +2,6% e Paesi Bassi +2,9%. Riesce invece a tenere sotto controllo l’aumento della spesa sanitaria la Germania, con una crescita di solo mezzo punto di Pil in otto anni.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 4, del 31 gennaio – 6 febbraio 2012
La bozza (disconosciuta) delle Regioni per il nuovo Patto per la salute.
La bozza di documento predisposta dai tecnici delle Regioni con le proposte per il confronto con il Governo sul nuovo Patto per la salute 2013-15 è stata disconosciuta dai presidenti delle Regioni: si tratta solo di un lavoro da tecnici, non è la proposta di Patto delle Regioni. La bozza contiene proposte su razionalizzazione, riorganizzazione, appropriatezza delle prestazioni, ospedali, territorio, medici, investimenti,… Su farmaci e dispositivi si propone un incremento annuo della spesa farmaceutica ospedaliera del 5%, con un tetto del 3,2%, mentre per la farmaceutica territoriale il tetto dovrebbe essere del 12,1%. Riorganizzazione della rete ospedaliera: non più di 3,5 p.l. ogni mille abitanti, di cui 0,5 p.l. per riabilitazione; riorganizzazione-riconversione dei piccoli ospedali, (quelli con meno di 120 p.l. nel 2009 erano 212 su 638); un ulteriore intervento sui Drg a rischio di inappropriatezza, riorganizzazione delle unità operative in una rete regionale clinica con aree di degenza per intensità di cura. La riconversione della rete ospedaliera seguirà il riordino delle cure primarie e sarà riorganizzata in nodi principali di carattere regionale per le patologie a maggiore complessità e nodi secondari per il trattamento delle acuzie. Previsti anche nodi intermedi destinati soprattutto alla riabilitazione e all’assistenza della post-acuzie. Compartecipazione: reimpostare il co-payment in base a quattro principi: compartecipazione crescente rispetto alla tariffa, ma con incidenza decrescente; differenziazione per situazione economica, limitazione delle esenzioni diverse dal reddito (patologia, invalidità, …), innalzamento del limite di età da 65 a 70 anni e riduzione del limite di reddito familiare per esenzioni. Maggiore equità, attraverso il superamento del criterio del reddito, introducendo l’applicazione dell’Isee, con alcune modifiche che lo adattino alla sanità (sanitometro). Cure primarie: nei piccoli ospedali riconvertiti ospitare “strutture territoriali di riferimento per l’erogazione dell’assistenza” (case della salute) che diventano il fulcro del riordino delle cure primarie, realizzazione di équipe territoriali multiprofessionali. Profonda riorganizzazione del servizio di continuità assistenziale, perché possa diventare un’alternativa al pronto soccorso.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 5, del 7-13 febbraio 2012
Relazione 2010. Parti e cuore in intramoenia.
La prestazione più richiesta in ricovero è il parto cesareo, in ambulatorio è la visita cardiologica. Chi sceglie l’intramoenia ottiene una visita e/o un’analisi nel 70% dei casi entro una settimana, contro una media di tempi di attesa rilevata da Cittadinanzattiva per le stesse prestazioni, che arrivano anche a 6-8 mesi per le visite e oltre 10 mesi per la diagnostica strumentale. Dalla relazione 2010 dell’Osservatorio nazionale sull’attività libero-professionale risulta che i ricoveri in intramoenia si fermano allo 0,5% dei ricoveri totali (soprattutto parti cesarei e interventi sulla tiroide); in caso di ricoveri in day hospital si fermano allo 0,2% del totale. La specialistica ambulatoriale è il settore dove l’intramoenia è più utilizzata, anche perché è quello in cui si allungano le liste di attesa. Cittadinanzattiva indica code da 10 mesi per una RNM o una Tac, da 8 mesi per una visita oculistica, 7,5 per una visita cardiologica e 6 mesi per una visita ortopedica (Rapporto Pit salute 2011). In intramoenia i tempi rilevati sono entro 15 giorni (in pochi casi oltre il mese) per le visite, mentre per le indagini diagnostiche (risonanze) per circa il 30% delle prestazioni si superano i due mesi. La relazione 2010 conferma l’andamento decrescente a partire dal 2007, mentre aumenta il numero delle regioni che hanno chiesto ai medici prestazioni in libera professione a loro carico per ridurre le liste di attesa.

Da “Il Sole 24ore Sanità” n. 6, del 14-19 febbraio 2012
Rapporto nazionale di monitoraggio dei Lea 2007-2009. Ancora troppo ospedale.
La strada verso la deospedalizzazione del Ssn procede ancora troppo a rilento, soprattutto in alcune regioni dove oltre la metà della spesa sanitaria è ancora assorbita dall’assistenza ospedaliera. La soglia del 44% dei costi per ricoveri, indicato come indice dal vecchio Patto per la salute 2010-2012, è raggiunta nel 2009 solo da Piemonte (43,4%, il dato migliore), Veneto (43,58%), Toscana (44,42%) ed Emilia Romagna (44,64%). Le altre regioni sono più o meno lontane dell’obiettivo, con la Lombardia che si attesta sul 46,79%. Il dato peggiore si registra in Abruzzo (53,8%), seguono il Lazio (52,12%), la Sicilia (50,01%), il Friuli V.G. (49,38%) e la Sardegna (48%). È quanto emerge dal “Rapporto nazionale di monitoraggio dei Lea” per gli anni 2007-2009 del Ministero della Salute. Il costo pro-capite del livello di assistenza ospedaliera, che risulta comunque in diminuzione da alcuni anni, è stato di 911 euro, ma con variazioni significative, comprese fra il minimo di 826,6 euro del Piemonte ed il massimo di 1.118 euro del Lazio. Per la prevenzione il Patto per la salute aveva indicato l’obiettivo del 5% di risorse destinate; in realtà si spende il 4,19%, spendono meno del 3% Friuli V.G. e Liguria, spendono di più Valle d’Aosta, Sardegna (5,90%), Umbria (5,22%), Basilicata (5,09%), Campania (4,64%) e Lombardia (4,61%). Per il livello “Assistenza distrettuale”, cui dovrebbe essere destinato il 51% delle risorse, la media italiana si attesta al 48,8%, ma con differenze molto più accentuate. I valori più alti si registrano in Veneto (52,5%), Piemonte (52,4%) Liguria (51,7%), Emilia Romagna e Toscana (entrambe al 51,2%). I valori più bassi riguardano l’Abruzzo (41,9%) ed il Lazio (44,6%); la Lombardia si attesta sul 48,6%. In particolare per questo livello incide la forte variabilità territoriale di due componenti: l’assistenza di base e l’assistenza specialistica.

2. Dalle Agenzie di stampa regionali
Da “Settegiorni PD”, Notiziario del gruppo PD in Consiglio regionale
È uscito il n. 176, del 16 marzo 2012.
A giugno parte il nuovo Call center sanitario lombardo.
Spese per oltre un milione di euro solo per la location milanese. Pd: “Uno spreco inutile di risorse”. Approvata da qualche giorno la delibera che dà il via al raddoppiamento del call center per i servizi sanitari lombardi, che in futuro avrà un nuovo centralino oltre a quello di Paternò, in provincia di Catania. La sede scelta è quella di via Juvara a Milano. La spesa iniziale prevista, solo per la ristrutturazione dei locali, è di oltre un milione di euro. Un servizio che da alcuni era stato delocalizzato in Sicilia torna dunque in Lombardia, per una ‘ristrutturazione’ che ai lombardi costerà cara. La risposta telefonica dal cellulare per la prenotazione di una visita costerà infatti agli utenti 50 centesimi: così si è conclusa la guerra, interna alla maggioranza, tra Pdl e Lega, per riportare a casa un servizio che era stato posizionato nel paese natale dei La Russa. Uno spreco di risorse inutile e una scelta non razionale, secondo il Pd che non ha condiviso il contrattacco della Lega iniziato con l’insediamento dell’ex consigliere regionale De Martini a capo di Lombardia Informatica. Il nuovo call center, con altri addetti, da giugno, affiancherà infatti quello già esistente in Sicilia. “A pagare il raddoppio del centralino saranno ancora una volta i lombardi, dice Alessandro Alfieri, si comincia spendendo oltre un milione di euro solo per fare il trasloco e non si sa esattamente quali saranno i costi totali dell’operazione i cui contorni non sono ancora ben chiari. Una scelta non di razionalizzazione, ma esclusivamente ideologica e di convenienza politica”.

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