Block Notes n. 16, luglio 2009


Dipartimento Welfare e nuovi diritti della Cgil Lombardia
A cura di E. Lattuada, G. Roversi e M. Vespa

In questo numero:


1. Dalla stampa di settore
Costi standard per sintesi
Costi standard 1. Qualità e non quantità per i valori di riferimento
Costi standard 2. La differenza la fa il bisogno di prestazioni
Libera professione. Come funziona l’intramoenia nelle Regioni
Liste di attesa. Il cuore non può attendere
Crescono i costi sociali della “diabesità”
Tumore al seno: serve uno screening personalizzato
Il primo anno di vita, un traguardo impossibile per 50.000 europei

2. Dalle Agenzie di stampa regionali
Nuova influenza: nessun allarme, prosegue vigilanza

3. Dalle Agenzie di stampa nazionali
Federalismo fiscale e welfare: preoccupazione per contraddizioni Governo

Dalla stampa di settore
Da “Il Sole 24 ore Sanità” n. 16, del 28 aprile-4maggio 2009
Costi standard per sintesi.
Niente costi standard “analitici” con calcoli troppo sofisticati, ma costi di “sintesi”: la spesa per abitante delle Regioni di eccellenza, con una pesatura in base all’età per dare risposta all’invecchiamento della popolazione e soprattutto senza perdere tempo, con il Veneto che già dal 2010 sperimenterà il nuovo meccanismo di riparto sul territorio. È questo l’orientamento del ministro Sacconi, al cui tavolo sono state messe a confronto quattro regioni con forti disavanzi (Calabria, Campania, Lazio e Molise) e quattro regioni “virtuose” (Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto), considerando sette parametri di riferimento: appropriatezza, territorio, tecnologie, qualità, offerta, rapporto popolazione-ospedali, dimensione degli ospedali. Per l’appropriatezza si sono confrontati i tassi di ospedalizzazione e l’utilizzo dei Drg chirurgici: nettissima la differenza tra le Regioni “virtuose” tutte al di sotto dei 130 ricoveri per mille abitanti (Lombardia 130,5) e quelle in deficit (dai 144 del Lazio ai 165 del Molise); Per il territorio si è considerata l’Adi per anziani, con Campania e Calabria sotto il 2% di assistiti e Veneto al 5,6% (Lombardia 3,1%); per la qualità si è considerato l’indice di attrazione dei pazienti, con dati alti per le regioni virtuose (13,4% Emilia Romagna e 9,4% Lombardia) e molto bassi per le regioni del Sud.

Da “Il Sole 24 ore Sanità” n. 17, del 5-11 maggio 2009
Costi standard 1. Qualità e non quantità per i valori di riferimento. Di Vittorio Mapelli
Al termine “costo standard” si possono attribuire più significati; innanzitutto può essere inteso come “fabbisogno standard” (quota capitaria per abitante) ed è la tesi avallata dal ministro del Welfare, dalla Corte dei Conti e da alcuni esperti che hanno fatto simulazioni prendendo a riferimento due o quattro regioni “virtuose”, prevedendo un risparmio variabile tra i 51 milioni ed i 4,4 miliardi. La seconda interpretazione intende invece il costo standard come “costo standard per unità di prodotto”, inteso come servizio; per definire il fabbisogno standard in questo caso è necessario moltiplicare il costo standard per delle quantità di prestazioni (standard o effettive). In questo caso per ottenere dei risparmi si dovranno tagliare i costi delle prestazioni ed eventualmente le quantità superiori allo standard. Non è facile individuare dei valori di riferimento realistici e validi per tutte le regioni. Secondo uno studio recente il costo medio per un ricovero ospedaliero (corretto per l’indice di complessità della casistica) varierebbe da 7.489 euro a Bolzano a 3.642 in Sicilia (una differenza del 105%); quale potrebbe essere quindi il costo standard di riferimento? Più che un valore unico nazionale servirebbero valori calcolati su una funzione di costo e una funzione di consumo sanitario e quindi standard diversi da regione a regione, ma più realistici.

Costi standard 2. La differenza la fa il bisogno di prestazioni. Di F. Moirano e C. Cislaghi
L’idea di costo standard è un concetto antico: è il costo di riferimento della produzione di un oggetto o di un servizio in condizioni di buone efficienza produttiva. Presupposto vincolante è però l’omogeneità del prodotto, che in sanità non esiste; è quindi molto difficile applicare questo concetto a processi complessi come quelli sanitari. Vi sono elementi che non possono essere ignorati: 1) evitare la confusione tra costi di erogazione e costi di produzione; 2) tenere sempre presente il bisogno di erogazione di prestazioni (ad es. in riferimento all’incidenza della popolazione anziana, che consuma 10 volte di più dei giovani). 3) la diversificazione dei processi erogativi (rapporto tra ospedali e servizi territoriali); 4) le ragioni territoriali che incidono sulle differenze nei costi di produzione; 5) individuazione di metodologie corrette per la determinazione dei costi standard, evitando scorciatoie semplificatrici. Già dalla fine degli anni ‘90 il criterio della spesa storica nel finanziamento del Ssn è stato superato e ci si è avvicinati molto al concetto di costi (erogativi) standard: il finanziamento di una Regione è oggi determinato in modo proporzionale alle “risorse standard” necessarie per soddisfare il suo bisogno sanitario. Sarebbe più opportuno in sanità, invece del “costo standard” usare il concetto di “spesa pro-capite standard”, un valore che deve essere rilevato, analizzato e applicato ai diversi sottogruppi di popolazione portatori di differenti necessità assistenziali. Questi valori della spesa pro-capite, aggiustati per fasce di bisogno della popolazione, non si differenziano molto da Regione a Regione. Quello che differenzia le Regioni sono la qualità della spesa e l’efficienza regionale. La determinazione del fabbisogno globale del Ssn può avvenire solo attraverso considerazioni di politica macroeconomica nazionale; per quanto riguarda il riparto tra le regioni sarà possibile migliorare l’attuale sistema che utilizza già la “spesa pro-capite standard”, proporzionale tra i sottogruppi iso-bisogno. L’approfondimento dei costi standard di produzione è un’operazione fondamentale per la promozione dell’efficienza della produzione e l’analisi dei volumi standard di prestazioni è un elemento altrettanto importante da approfondire per migliorare l’appropriatezza del sistema.

Da “Il Sole 24 ore Sanità” n. 18, del 12-18 maggio 2009
Libera professione. Come funziona l’intramoenia nelle Regioni.
La prima Relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 120/2007 analizza, utilizzando 24 indicatori, come ogni Regione ha applicato la normativa sull’intramoenia. Solo tre regioni presentano più criticità che risultati positivi (Calabria, Lazio e Veneto) e altre tre presentano eccellenze: Lombardia, Toscana e Umbria. L’indice meno positivo è quello relativo all’edilizia per gli spazi dedicati all’intramoenia: quasi tutte le Regioni ne hanno bisogno. Le Regioni applicano la legge in modo molto difforme, con molte discrepanze tra Nord e Sud. Tra il 2006 ed il 2008 gli incassi sono aumentati del 5%, L’85% delle entrate è andato al personale, con una spesa media per cittadino di 20 euro; restano invece invariati gli incassi delle aziende sanitarie, che non vano oltre i 180 mil. Il 54% dei ricavi arriva dall’area delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, il 33% dai ricoveri ospedalieri ed il 13% da altre prestazioni; si va da un’attività specialistica che pesa oltre il 90% a Trento ad un’attività ospedaliera che supera il 90% in Abruzzo. L’attività ospedaliera è maggiore nelle regioni del Sud (Molise, Calabria, Campania, Sardegna) e al Nord in Lombardia e Friuli, mentre la specialistica assorbe quasi tutta l’intramoenia oltre che a Trento in Emilia Romagna, Basilicata, Marche , Toscana Umbria e Puglia.

Da “Il Sole 24 ore Sanità” n. 19, del 19-25 maggio 2009
Liste di attesa. Il cuore non può attendere.
Meno viaggi della speranza in cardiologia per patologie che rappresentano la prima causa di morte. È questo uno dei principali obiettivi che la Commissione Ministero-Regioni sulle liste di attesa si è posta nell’elaborazione delle indicazioni per abbattere le liste di attesa cardiologiche; la semplice dilatazione delle prestazioni erogate, senza un controllo sulla reale appropriatezza delle richieste e la qualità delle risposte porta ad un aumento ingiustificato della spesa e non garantisce equità ed efficacia di intervento. L’aumento della domanda e di richieste improprie allunga i tempi di attesa e la mancanza di criteri per valutare la qualità delle prestazioni peggiora la situazione; è necessario evitare di prescrivere esami o terapie mediche o chirurgiche non appropriate, anche per liberare risorse e ridurre le liste. Secondo la Commissione i gradi di gravità, che definiscono le priorità di accesso, sono quattro: 1°) prestazioni urgenti, per le quali l’alternativa è il ricorso al pronto soccorso o entro le 72 ore per il possibile aggravamento; 2°) le prestazioni la cui tempestiva esecuzione condiziona in un arco di tempo breve la prognosi a breve del paziente o influenza il dolore, la disfunzione o la disabilità: da erogare entro 10 giorni; 3°) prestazioni per le quali, se erogate tempestivamente, l’esecuzione non condiziona la prognosi a breve, ma è richiesta sulla base della presenza di dolore o disfunzione o disabilità: da erogare entro 30 gironi; 4°) le prestazioni programmabili in un maggiore arco di tempo, perché non influenzano la prognosi, il dolore, la disfunzione o la disabilità. Secondo la Commissione le liste di attesa devono essere distinte tra quelle per procedure diagnostiche e quelle per procedure terapeutiche, che presentano problematiche assistenziali diverse. Le procedure di screening e controllo non rientrano nei meccanismi di assegnazione delle priorità e non devono essere comprese nelle liste di attesa generali, ma avere un loro percorso, secondo le linee guida della specialità.

Da “Asi” n. 15, del 9 aprile 2009
Crescono i costi sociali della “diabesità”.
Cresce l’accoppiata diabete-obesità in Italia: una persona su tre è in soprappeso (34,2%, 20 milioni), una su dieci è obesa (9,8%, 6 mil.), una su venti diabetica (5%, 3 mil.); un altro milione di persone è diabetico senza saperlo. Secondo i dati degli Annali 2008 dell’Associazione medici diabetologi due terzi delle persone con diabete di tipo 2 sono anche obesi; tra i diabetici di tipo 1 un quarto è obeso. Diabete ed obesità si sostengono a vicenda ed in combinazione tra loro sono considerati la vera epidemia dei nostri tempi. La diabesità costa molto al Ssn: uno studio del 2000 dell’Università degli studi di Milano indicava in circa 23 mld. di euro il costo per ospedalizzazione e cure mediche di sovrappeso, obesità e malattie collegate; un terzo di questi costi è assorbito dal diabete ed è in aumento. Nel 1998 il costo del diabete veniva stimato in 5 mld. di euro, pari al 6,7% della spesa totale; nel 2006 era salito all’8% della spesa; per il 2010 si ipotizza un costo superiore agli 11 mld. Del binomio diabete-obesità si muore: un diabetico in soprappeso ha un rischio doppio di morte nell’arco di 10 anni rispetto ad un normopeso; un obeso ha un rischio doppio di un soprappeso. Dimagrire per un diabetico è quindi una misura fondamentale, più importante dei farmaci, per curare il diabete e prevenire le complicanze; dimagrire per le persone obese o soprappeso non diabetiche è invece importante per prevenire il diabete.

Da “Asi” n. 16, del 16 aprile 2009
Tumore al seno: serve uno screening personalizzato.
La mammografia dovrebbe essere su misura: la presenza o meno di casi di tumore al seno in famiglia, il soprappeso, l’avere avuto o meno figli, la sedentarietà, l’assunzione o meno della terapia ormonale sostitutiva diventeranno criteri per suddivider le donne in tre categorie di rischio (normale, medio, alto). Per chi non presenta fattori critici l’iter resterà invariato, per le altre andranno previste corsie preferenziali e l’utilizzo di strumenti più sensibili, come la mammografia digitale, per uno screening tagliato su misura, con l’estensione per le quarantenni e le over 70. Lo screening ha permesso di ridurre del 50% la mortalità, ma ora è necessario rinnovare i criteri, che sono allo studio della commissione Prevenzione e Screening del Ministero. L’obiettivo è quello di ridurre i 12.000 morti che il tumore causa ogni anno in Italia, su 38.000 nuovi casi; se si interviene ai primissimi stadi, la sopravvivenza raggiunge il 98%. Una italiana su 11 rischia di ricevere una diagnosi di tumore del seno nel corso della sua vita e una su 50 di morirne; l’incidenza è simile in tutte le regioni, ma vi è una forte differenza nell’effettuazione degli screening fra Centro-Nord, Sud e Isole. L’estensione dei programmi di screening attivi nel 2007 è pari all’89% al Nord, al 73% al centro e solo al 27% al Sud e la sopravvivenza al Nord è più elevata del 10%.

Da “Asi” n. 17, del 23 aprile 2009
Rapporto Euro-Peristat. Il primo anno di vita, un traguardo impossibile per 50.000 europei.
Su circa 5 milioni di nati vivi in Europa circa 25mila bambini nascono morti e altrettanti non superano il primo anno di vita; tra quelli che sopravvivono 90.000 presentano malformazioni e altri 40.000 disabilità gravi. Il numero di donne che muore di parto varia da 5 a 10 ogni 100.000 e circa la metà di questi decessi è da attribuire ad una scarsa efficienza del sistema sanitario. Sono questi i dati del Rapporto sulla salute pubblicato da Euro-Peristat, che descrive lo stato di salute dei bambini e delle madri. Dal rapporto emerge che non esiste un Paese “virtuoso”, anche se i risultati migliori provengono dalla Scandinavia; il primato negativo è invece nei Paesi Baltici, dove circa l’1% dei bambini muore nel primo anno di vita. In Italia la situazione è sostanzialmente buona, ed in linea coi Paesi occidentali, ma con un numero particolarmente alto di parti cesarei: la quota in assoluto più elevata d’Europa. Gli esiti delle gravidanze sono fortemente influenzati dalle caratteristiche socio-demografiche dei gruppi di appartenenza; l’età, le precedenti gravidanze, il fumo, il livello di educazione della madre variano notevolmente e incidono sullo stato di salute della donna e del bambino. L’età delle madri varia sensibilmente tra i vari Stati: i parti tra teenager sono l’1,3% in Danimarca ed il 9,3% in Lettonia, mentre la % di donne che partoriscono dopo i 35 anni supera il 20% in Irlanda, Olanda, Germania ed Italia. I più alti tassi di parti con taglio cesareo si registrano in Italia (37,8%) e Portogallo (33,1%), quelli più bassi in Slovenia (14%) e Olanda (15%). I parti a casa sono poco diffusi, ma in Olanda rappresentano il 30% del totale. L’allattamento al seno è molto diffuso in Repubblica Ceca (90%), Lettonia (92%), Slovenia (88%), Svezia (89%) e Italia (72%), è invece meno frequente in Irlanda, Francia e Gran Bretagna.

Dalle Agenzie di stampa regionali
Da “Lombardia notizie”, Notiziario della giunta regionale del 22 luglio 2009
Nuova influenza: nessun allarme, prosegue vigilanza.
Prosegue l’attività di Regione Lombardia di sorveglianza e verifica sulla cosiddetta “nuova influenza” (A-H1N1), avviata a partire dal 25 aprile scorso. La situazione è sotto controllo, non desta allarme e non necessita di misure particolari: ad oggi infatti sono stati accertati 70 casi (a fronte di 211 sospetti); nella stragrande maggioranza si tratta di persone al rientro da viaggi all’estero (tutti tranne 6). Appena ricevuta la comunicazione del Ministero è stato attivato il Piano pandemico regionale, che primi in Italia, era stato adottato dal 2006 e convocato il Comitato pandemico regionale, costituito da esperti in campo infettivologico, virologico e veterinario. In base a quanto previsto dal Piano, sono state adottate e sono tuttora in corso una serie di misure organizzative e operative per le strutture e gli operatori sanitari. Il virus. Si tratta di un virus ad oggi decisamente meno aggressivo di quello dell’influenza stagionale (chi si ammala guarisce normalmente in due giorni), che finora ha colpito prevalentemente soggetti al di sotto dei 40 anni. Questo farebbe pensare che per una parte della popolazione (quella più anziana) potrebbe esserci una “immunità crociata”, dovuta alla circolazione in passato di virus analoghi a quello attuale. “Rispetto a quella che sarà l’evoluzione della malattia, ha detto l’assessore Bresciani, realizzeremo tutte le azioni necessarie a fronteggiarla. Siamo già pronti e attrezzati per fare questo”. Vaccinazioni e farmaci anti-virali. Per quanto riguarda le vaccinazioni, l’orientamento di Regione Lombardia è di proporla innanzitutto ai medici, agli operatori sanitari, agli operatori dei servizi essenziali e a tutti i soggetti a rischio: persone dai 6 mesi ai 18 anni e tutti coloro che soffrono di altre malattie (cardiopatici, diabetici, ecc…). La patologia viene trattata attualmente come qualunque influenza con i farmaci antipiretici. Per quanto riguarda gli anti-virali, è stato ricordato che questi farmaci vanno utilizzati solo da chi è a rischio di complicazioni e solo dopo precise valutazioni cliniche. Accordo con il Messico Nel corso di un recente viaggio in Sud America, l’assessore ha stretto un patto con queste le autorità messicane, che ha permesso di aprire una “conferenza permanente” con scambio di informazioni e valutazioni su decisioni comuni. Bresciani proporrà inoltre al Ministero di utilizzare negli aeroporti lombardi e italiani strumenti per rilevare la temperatura corporea, così da poter individuare soggetti potenzialmente ammalati.

Dalle Agenzie di stampa nazionali.
Dalla Conferenza delle Regioni: http://www.regioni.it/newsletter
Regioni.it n. 1414 del 22 luglio 2009.
Federalismo fiscale e welfare: preoccupazione per contraddizioni Governo.
“In materia di federalismo fiscale è ormai giunto il momento della chiarezza con un confronto fra Governo e Regioni sulle cifre e sui dati. Ogni altra iniziativa sfugge alla logica di concertazione fino ad ora seguita”. Lo ha dichiarato il Presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani. “Le iniziative, di cui leggo sulla stampa in relazione agli emendamenti sul decreto legge anti-crisi che introdurrebbero un fondo istituito presso il Ministero dell’Economia per finanziare le attività di carattere sociale di pertinenza regionale sono unilaterali e lasciano aperto più di qualche dubbio. Resta infatti poco chiaro il percorso: perché parlare di federalismo e istituire poi un fondo centralizzato presso un ministero? In secondo luogo, si vogliono potenziare le politiche sociali: allora perché parallelamente si azzera il fondo per la non autosufficienza e si taglia del 70% il fondo sociale? Tutto ciò è quantomeno contraddittorio. Si tratta di un’iniziativa, ha concluso Errani, che oggettivamente crea confusione e che sarebbe inaccettabile qualora si rivelasse come la cartina al tornasole dei tagli realizzati al welfare”.
 

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