Rassegna Sindacale n.24 / 18-24 giugno 2009

di Anna Avitabile

 

In difficoltà anche i territori più avanzati

La produzione industriale nel primo trimestre 2009 ha segnato un meno 11 per cento sul corrispondente periodo dello scorso anno,con una riduzione della domanda estera

 

Milano, 12 giugno.
“Don’t touch my job”, strillano, mutuando la frase dal noto slogan pubblicitario, le pettorine dei lavoratori della società Binda, che commercializza il marchio Breil in Italia e nel mondo, per opporsi al licenziamento di 92 dipendenti su 229.
Scioperi e proteste si sono moltiplicate in questi mesi (sempre il 12 giugno, si sono tenute in contemporanea due iniziative di mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil, ad Arcore in Brianza e a Dongo nella zona dell’alto lago di Como), quasi a voler visivamente smentire chi si ostina a negare l’emergenza occupazionale. Tra questi ultimi, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che interpreta i dati della cassa integrazione di maggio, leggermente inferiori al mese precedente, come un segnale d’inversione di tendenza. “Il ministro dovrebbe sapere – ribatte Giacinto Botti, della segreteria Cgil regionale – che dal punto di vista del metodo è sbagliato analizzare mese per mese le ore dall’Inps, perché si tratta di dati incrementali, che vanno valutati nel loro effetto cumulato”. Che la crisi sia un fenomeno profondo, del resto, lo riconosce la stessa Regione, quando afferma che essa “da un lato colpisce i soggetti più deboli, le famiglie e i consumatori e, dall’altro, intacca anche i territori più avanzati, le economie solide e reali legate al lavoro e alla produzione”.
La produzione industriale nel primo trimestre di quest’anno ha segnato un meno 11 per cento sul corrispondente periodo del 2008, con una riduzione della domanda estera del 13,8 per cento .
Tutti i settori manifatturieri sono interessati dal rallentamento dell’economia internazionale e nazionale: siderurgia (meno 16 per cento), minerali non metalliferi (meno 13,5), tessile (meno 13), gomma-plastica (meno 13,3), meccanica (meno 12,4), legno-mobile (meno 11,8). Sotto la media regionale, troviamo i comparti di chimica (meno 9 per cento), pelli e calzature (meno 7,8), mezzi di trasporto (meno 7,5), abbigliamento (meno 7), carta-editoria (meno 7), alimentari (meno 2,9).
Non è dato sapere quali saranno i mutamenti di medio periodo della struttura produttiva della regione, se e in che modo essa ne uscirà ridimensionata e cambiata. Quel che è certo, però, è che le aree più densamente popolate da imprese manifatturiere di media e piccola dimensione sono investite in pieno dallo sconvolgimento. Nelle zone prealpine, da Varese a Como, Lecco, Bergamo e Monza, molti segnali parlano della sofferenza di territori che fino a pochi mesi fa stentavano a reclutare operai specializzati. Esplode la cassa integrazione, si allungano le file agli sportelli delle Agenzie per l’impiego, cresce il contenzioso attivato dalle aziende per l’insolvenza dei propri clienti, si aggrava la carenza di liquidità dovuta alle difficoltà a ottenere anticipazioni dalle banche (dati, questi ultimi, che si evincono da una ricerca dell’ufficio studi della Camera di Commercio di Monza e Brianza). “La Lombardia, come il Piemonte – sostiene Botti –, è destinata a conoscere i maggiori cambiamenti, proprio perché in questa regione ha sede un quarto dell’industria manifatturiera e la maggioranza delle grandi imprese”.
È in particolare l’industria metalmeccanica ad apparire in sofferenza, per effetto della sua presenza diffusa nel territorio. Sono in difficoltà tanto gruppi multinazionali, dall’Iveco alla Brembo, alla Dalmine, alla StMicroelectronics, quanto la miriade di piccole e medie imprese della meccanica di precisione di Lecco, della siderurgia di Brescia o di Cremona (a cominciare dal gruppo Marcegaglia), dell’elettromeccanica, del comparto delle macchine utensili, degli elettrodomestici bianchi, dei componenti per le telecomunicazioni, oltre che dell’indotto auto. In controtendenza, appaiono solo alcuni comparti marginali, come quello delle armi o delle energie rinnovabili (produzione di pannelli fotovoltaici). “Il peggio purtroppo deve ancora venire – commenta Pierfranco Arrigoni, segretario generale della Fiom Lombardia –, perché non è sostenibile ancora a lungo un’impennata della curva della cassa integrazione come quella che abbiamo avuto negli ultimi mesi. Questi dati presto si trasformeranno in licenziamenti, con conseguenze sociali disastrose, se si tiene conto che in Lombardia si concentra oltre la metà delle ore di cassa integrazione richieste a livello nazionale nel settore meccanico”.
La ripercussioni dello stallo sono ancor più visibili in un territorio come quello di Lecco, che vantava – assieme a Varese – il più basso tasso di disoccupazione della regione, e nel quale gli addetti all’industria manifatturiera sfiorano il 50 per cento degli occupati, contro un dato medio lombardo – di per sé alto – del 33 per cento. La meccanica e, a distanza, il tessile e i tessuti per l’arredamento, sono i settori in primo piano. “La nostra è una città nata con il ferro – spiega Alberto Anghileri, segretario generale della Camera del lavoro lecchese –, con la carpenteria metallica, la meccanica di precisione, il meccanotessile. E la nostra ricchezza sono i lavoratori. Oggi, rispetto alla metà degli anni ottanta, sono rimasti pochi grandi gruppi e una miriade di piccole e piccolissime aziende. Il numero degli occupati nella meccanica è rimasto pressoché costante nel tempo, ma si è disperso in tante unità produttive, spesso operanti per conto terzi e attive nei settori di nicchia. Aziende caratterizzate da innovazione di processo e poco di prodotto, mediamente sottocapitalizzate e senza strutture di supporto per affacciarsi sui mercati esteri”. Eppure, assicurano in casa Cgil, finora il tessuto sociale ha tenuto, perché nelle famiglie spesso si lavora in due, si utilizza il risparmio messo da parte negli anni passati, si ha la possibilità di attivarsi, magari in nero, nell’azienda di un parente. Ma per quanto tempo tutto questo potrà durare?
In generale, l’assegno di cassa integrazione arriva dopo un periodo che varia dai tre ai sei mesi e, laddove sono stati fatti accordi con il sistema bancario per ottenere anticipazioni, non sempre le cose vanno per il meglio: la banca chiede comunque l’apertura di un conto corrente e soprattutto non rinuncia ad applicare il tasso d’interesse (dal 2,2 al 2,4 per cento), il cui costo non è trascurabile se rapportato a redditi mensili attorno agli 800 euro. Non solo. A Bergamo nessun istituto di credito si è mostrato disponibile a sospendere temporaneamente l’obbligo di pagamento della rata del mutuo per i lavoratori sospesi, e anche l’Associazione artigiani consiglia di non anticipare i sussidi, perché non è obbligatorio.
Senza dimenticare quanto avviene nel terziario privato, le difficoltà dei servizi alle imprese (che da soli segnano un meno 6,3 per cento di fatturato nel primo trimestre 2009) e dei servizi alle persone, dal turismo al commercio. E senza contare le difficoltà del settore pubblico (solo nella scuola, dovrebbero essere cancellati nella regione 4.853 posti di docente e 2.008 di personale non docente). Settori nei quali un ruolo anomalo di ammortizzatore sociale implicito è rappresentato dalle attività precarie, sommerse e in nero, svolte da giovani (tra i quali molte donne) e immigrati, espulsi alle prime avvisaglie di crisi e successivamente reimmessi in produzione a condizioni peggiori delle precedenti. Si tratta di fenomeni non di poco conto: solo gli avviamenti a tempo determinato sono stati circa 600.000 nel corso del 2008.
Lo scorso 4 maggio è stato sottoscritto tra Regione Lombardia e parti sociali un accordo che estende gli ammortizzatori sociali ai rapporti di lavoro precari, andando anche oltre i criteri definiti a livello nazionale dalla legge 2 del 2009. Il miliardo e mezzo promesso a questo scopo è, tuttavia, ben lontano dal rappresentare una certezza: nonostante le rassicurazioni della giunta, il timore dei sindacati è che ben presto le risorse destinate a tale scopo vengano esaurite. •


 

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