Immigrati e malattie infettive. oltre il pregiudizio, per una reale tutela.

fonte: Da “Asi” n. 44, del 30 ottobre 2008


Le malattie degli immigrati non sono “le malattie infettive”: non è possibile identificare i problemi sanitari degli immigrati presenti in Italia con questo gruppo di patologie, anche se media, politici ed opinione pubblica fanno questa semplificazione. I dati pubblicati a livello nazionale identificano complessivamente una popolazione in buono stato di salute, con maggiore frequenza di patologie comuni, legate, oltre che alle condizioni di vita alla bassa età media, una percentuale estremamente alta di traumatismi ed infortuni ed il ricorso alle strutture per eventi fisiologici per gravidanza e parto. Recentemente è stata evidenziata anche una progressiva “transizione epidemiologica” da malattie acute e/o accidentali a patologie “cronico-degenerative”, legate all’invecchiamento, a stili di vita logoranti ed all’acquisizione di modelli comportamentali non salutari. Se è vero che alcune malattie infettive si evidenziano con maggiore frequenza tra gli immigrati, è anche vero che la causa è da ricercarsi soprattutto nei “determinanti sociali della salute” (lavoro, reddito, habitat, accessibilità ai servizi,…), sui quali è necessario intervenire con azioni di contrasto. Esemplificativo il caso della Tubercolosi, classica “malattia della povertà”, che si può manifestare quando le difese immunitarie si indeboliscono a causa di condizioni di vita scadenti. Si tratta di una patologia in progressiva costante diminuzione nel nostro Paese, dove tra la popolazione italiana dal 1999 al 2006 si è registrato un calo del 33%. E’ pur vero che l’incidenza dei casi registrati tra i cittadini stranieri sul totale dei casi è passata dal 22 al 46%, ma ciò è dovuto all’aumento della popolazione immigrata; non si può quindi parlare in nessun caso di allarme sanitario.

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