la Repubblica, 4 ottobre 2014 www.repubblica.it 

Milano, l'articolo 18 ha salvato solo 13 lavoratori su 3.800: la metà ha rinunciato al ricorso


I dati dal 2013: prevale la strada dell'accordo con il datore di lavoro. Se si arriva in tribunale di solito vince l'imprenditore. I sindacati: "Dipendente e azienda mai sullo stesso livello, la tutela deve restare"

di Matteo Pucciarelli

I freddi numeri dicono che il problema, se lo si può considerare un 'problema', è decisamente limitato. Si parla di articolo 18 - la norma che protegge dai licenziamenti i dipendenti con contratto a tempo indeterminato e in forza ad aziende con più di 15 dipendenti - e della sua ricaduta su Milano. Da gennaio a fine aprile di quest’anno sono stati 728 i licenziamenti comunicati dalle imprese alla Direzione territoriale del lavoro per “giustificato motivo oggettivo”; mentre i licenziamenti impugnati dai lavoratori arrivati al Tribunale di Milano fino ad agosto 2014 sono 1.035. Se si pensa al totale delle imprese e del numero dei lavoratori in città e in provincia sembrano casi tutto sommato circoscritti a una minoranza.

Segno che la norma funziona davvero e fa da deterrente? Oppure, proprio perché riguarda pochi, tanto vale abolirla? Dal 2008 a oggi nel territorio di Milano e provincia si sono persi in tutto 300mila posti di lavoro, di cui il grosso è composto dai 110mila del settore manifatturiero e da altri 100mila nei servizi alle imprese. «Segno che i licenziamenti avvengono comunque, e quando ci sono quelli collettivi e i fallimenti non c’è articolo 18 che tenga», spiega il segretario della Camera del Lavoro Graziano Gorla. Che per le imprese licenziare sia impossibile, insomma, non è (sarebbe) vero. E accade anche per quei lavoratori considerati iper garantiti, soprattutto da quando è entrata in vigore la riforma Fornero.

Oggi infatti grazie al citato “giustificato motivo oggettivo” si può fare a meno anche di un singolo dipendente: se viene chiuso un reparto aziendale, se decade un appalto e così via. È il cosiddetto “motivo economico”. Nel 2013 i casi di questo tipo sono stati 3.078; c’è stato un “esito positivo” 1.671 volte, nel senso che impresa e lavoratore si sono messi d’accordo attraverso un indennizzo economico. Quante volte c’è stata una rinuncia a licenziare? Tre volte, lo 0,18 per cento del totale. Numeri simili nel 2014: dei 728 messi alla porta i reintegrati sono stati solo 10. Se i due soggetti non si mettono d’accordo, o se c’è il sospetto che il licenziamento sia discriminatorio, allora la palla passa alle toghe.

I dati del tribunale del Lavoro invece spiegano due cose: non è corretto dire che i giudici danno sempre ragione al lavoratore (anzi); e non è neanche vero che i tempi per arrivare a un responso siano infiniti. «Qui riusciamo a fare un ottimo lavoro - sottolinea Piero Martello, presidente della sezione Lavoro - e arriviamo a chiudere i procedimenti in prima fase relativi all’articolo 18 in 63 giorni. La media nazionale invece è di 93». Quanto ai responsi, «sono molte le cause conciliate. Va detto che c’è una leggera prevalenza di rigetti, ovvero licenziamenti confermati». Giudici diventati più cattivi? «Noi semplicemente applichiamo le leggi in vigore. Con lo Statuto dei lavoratori erano state scritte pensando a tutelare la parte considerata dal legislatore più debole - ricorda il giudice Martello - le ultime normative invece sono quasi neutre».

C’è un altro fenomeno in corso, poi: visto che tira una brutta aria per l’articolo 18, nelle ultime settimane sono aumentate le cause dei lavoratori. Un effetto emotivo, ci si sbriga finché si ha qualche tutela in più. "La discussione in corso non è tanto sindacato contro politica - ragiona la segretaria regionale della Cgil Elena Lattuada - quanto se davvero lavoratore e impresa stiano sullo stesso piano, con lo stesso potere contrattuale. Sappiamo benissimo che non è così, e l’abolizione dell’articolo 18 significherebbe colpire ulteriormente chi già sta pagando la crisi a caro prezzo".

Il fronte sindacale però mostra qualche crepa. In casa Cisl la si pensa diversamente. "L’articolo 18 è stata la foglia di fico, in tutti questi anni, dietro la quale gli imprenditori hanno nascosto il lavoro nero e tutte le forme di precariato che abbiamo conosciuto. Piuttosto rafforziamo il reintegro per tutti i casi possibili di licenziamento discriminatorio o legati a matrimonio e gravidanza" è il pensiero del segretario lombardo Gigi Petteni. E gli imprenditori? Alla lettura dei dati, Assolombarda e Confindustria regionale preferiscono non commentare.

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