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Dichiarazione di susanna camusso segretario generale cgil lombardia sul bilancio della regione per il 2006COMUNICATO STAMPA
DICHIARAZIONE DI SUSANNA CAMUSSO SEGRETARIO GENERALE CGIL LOMBARDIA SUL BILANCIO DELLA REGIONE PER IL 2006
Susanna Camusso, segretario generale della Cgil lombarda, in merito al bilancio della Regione Lombardia per il 2006 ha dichiarato:
“La recente finanziaria ha messo i bilanci regionali in seria difficoltà e, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, continua ad indicare dove si deve tagliare. Quello della Regione Lombardia, in particolare, è oggettivamente un bilancio politico che non indica con chiarezza che effetti avranno i tagli e, al di là di vaghe dichiarazioni sul fatto che non si faranno tagli ai servizi è congeniato in modo tale da non rendere intelligibile dove e su cosa si interverrà. Formigoni segue le mosse di Berlusconi: nessuna risorsa per sostenere l’occupazione, nessuna politica di sviluppo della regione, solo privatizzazione per il mercato del lavoro e tagli all’assistenza.
In compenso cura molto la sua immagine: all’apertura di ogni crisi aziendale promette senza mai trovare soluzioni e sottraendosi sistematicamente al confronto con il sindacato.
Sul bilancio, c’è un problema grande di trasparenza che si aggiunge all’indisponibilità al confronto con le parti.
Essendo un bilancio politico, dovrebbero emergere priorità che non appaiono, nonostante la Lombardia sia una delle regioni con la più alta pressione fiscale d’italia (massimo dell’Irap, massimo dell’Irpef) con, di contro, il peso del settore pubblico più basso d’Italia.
La politica di contenimento del personale è consistita nell’avvio di processi di esternalizzazione ed estensione del precariato e poi anche di contenimento delle retribuzioni per il personale, a fronte di un ampio incremento invece delle retribuzioni dei dirigenti.
Cresce fortemente l’indebitamento: nel 2001 era di 667 milioni di euro, per il 2006 la stima è di 4157 mln euro, ma il rating non deve essere così positivo, se si considera che la Lombardia non trova risorse per le infrastrutture. Infatti, rispetto alle autonomie precedenti non ha risorse, così salta la Brebemi dopo un’inutile richiesta al Governo di finanziamenti.
Non a caso poi, si tenta di procedere sulla strada di acquisire i 16mila alloggi di proprietà pubblica (ma non della Regione) ed è aumentata la politica di patrimonializzazione,
a partire dalla valorizzazione delle sedi regionali. Questa è diventata la strada per rispondere in modo contraddittorio a domande sociali e a nostre richieste, ad esempio il fondo per non autosufficienti e l’edilizia a canone moderato, o a progetti della Giunta, ad esempio il fondo di previdenza complementare lombardo, o gli investimenti in infrastrutture.
Da tempo la politica annuncia che il sistema delle infrastrutture è bloccato, ed è meglio stendere un velo sul servizio ferroviario e di trasporto pubblico locale, che continua a subire le pesantissime conseguenze dell’insufficienza di risorse. In sostanza con gli stessi fondi, che ancora non ci sono, semmai ci saranno, si assumono impegni di carattere diverso; una sorta di gioco delle tre carte che rischia di non portare a nuovi investimenti ma è un utile specchietto per le allodole per far fronte all’indebitamento.
Per reggere il patto di stabilità si è dato corso ad una fortissima spinta alle esternalizzazioni, riducendo i costi del personale e rendendoli variabili con forme di precarietà; ma se cambia la spesa, non è vero che la qualità dei servizi resta uguale.
Peraltro la nostra Regione ha la spesa pro capite di welfare più bassa delle regioni a statuto ordinario, in particolare sull’istruzione e, nel bilancio 2006, si immagina di ridurre ulteriormente i fondi per la formazione professionale, mentre per il lavoro le risorse previste sono superori al 2005 ma inferiori al 2004.
Il rischio insito in un bilancio non trasparente e non confrontabile è che si accentui la tendenza che abbiamo già cercato di contrastare di passare da servizi effettivamente erogati a forme di monetizzazione (vedi i voucher e i buoni), con la doppia conseguenza che finché ci sono risorse va bene, poi si taglia, come nel caso delle politiche del governo sul fondo di sostegno agli affitti.
Si amplia nel frattempo il cosiddetto privato sociale, spesso area di lavoro precario e sottopagato, contribuendo in questo modo ad accrescere l’incertezza delle famiglie e a frenare occupazione.
L’idea che smontando il welfare si favorisce la crescita e lo sviluppo trova la sua più clamorosa smentita in Lombardia.
E ancora, sulla trasparenza, il bilancio regionale non parla di finanziamenti europei e nemmeno di Infrastrutture Lombarde spa, la cui attività sembra pensata ad arte per evitare il confronto sulle scelte e gli investimenti non solo con le parti sociali,
non solo con il Consiglio ma con la stessa Giunta.
Si tratta di omissioni che falsano molte voci, soprattutto quelle sulle quali intervengono i trasferimenti europei, prima di tutto la formazione, o nascondono che nella politica dissennata di accreditamento si sono già sperperate tutte le risorse.
La Lombardia è in emergenza sui trasporti, sulla casa, sul lavoro.
Il progetto di legge sul mercato del lavoro proposto dalla Giunta senza nessun confronto con le parti sociali non affronta le questioni vere, non dà nessuna risposta al tema del precariato, assume e peggiora la legge 30, inventa una trasformazione dell’Agenzia per il Lavoro alla quale si attribuisce la formazione: un’ennesima esternalizzazione della responsabilità e della funzione pubblica.
C’è una profonda crisi di interi settori industriali, i lavoratori coinvolti direttamente in provvedimenti e procedure occupazionali sono oltre 37.000, dei quali 12mila sono interessati da procedure di licenziamenti collettivi e mobilità e quasi 10mila sono in Cassa Integrazione Straordinaria, ma sono purtroppo tantissime le procedure in corso e le vertenze che si vanno aprendo, molte delle quali non quantificabili perché relative alle aziende di piccole dimensioni. Questo naturalmente rischia di far lievitare il dato di migliaia di unità.
Da giugno chiediamo alla Presidenza della Regione di affrontare il tema, ma siamo a Natale e non abbiamo ancora ricevuto risposte.
Lo sanno bene i lavoratori che neanche vengono ricevuti, ultimo esempio il gruppo Zucchi Bassetti.
Non si ha il senso che questa è una regione che ha vissuto sull’industria e su di essa è cresciuta; non ha quindi alternative alla qualificazione e alla specializzazione del suo tessuto produttivo.
Ma non si affronta la crisi del tessile se non si decide di sostenere la struttura industriale e il processo produttivo, innestando su questo il sistema moda e il made in Italy.
Si invoca il federalismo, anche quello fiscale, e non si utilizzano le leve per la crescita e la competitività.
In realtà la nostra è una Regione che non c’è, con un Presidente prigioniero della “dialettica” della maggioranza che, per sopravvivere, non decide e non si confronta con nessuno. E i problemi crescono”.
Sesto San Giovanni 6 dicembre 2005
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