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Col nuovo diritto fallimentare diminuiscono le tutele per i lavoratori
COMUNICATO STAMPA
COL NUOVO DIRITTO FALLIMENTARE DIMINUISCONO LE TUTELE PER I LAVORATORI
La CGIL Lombardia e la CGIL di Milano hanno tenuto stamattina una Conferenza stampa presso la Camera del Lavoro Metropolitana sul tema della riforma dei fallimenti e delle procedure concorsuali, a fronte del fatto che sono state emanate, o stanno per esserlo, profonde modifiche agli istituti che regolano i casi di crisi/insolvenza dell’imprenditore (fallimento, concordato preventivo).
In particolare-è stato sottolineato nel corso della conferenza stampa- viene ridisegnata l’impalcatura della legge fallimentare che, pur bisognosa di opportune modifiche rese necessarie dalle oggettive mutate caratteristiche delle imprese, rappresentava per i lavoratori una efficiente tutela a garanzia dei loro redditi (mensilità arretrate, TFR).
La fretta con cui si sta procedendo alla trasformazione del diritto fallimentare, strozzando ogni adeguato e preventivo confronto con le parti sociali, si spiega con i contenuti della nuova norma, dal forte impatto sociale, emanata a svantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici, soprattutto delle piccole imprese. La definizione di “piccola impresa” destinataria delle nuove disposizioni sui fallimenti, infatti, esclude una amplissima fetta di lavoratori dalle tutele che la procedura concorsuale determina.
Lo schema del decreto stabilisce che sono piccoli imprenditori, quindi non soggetti a fallimento, coloro che hanno investito nell’azienda fino a 300.000 euro e che hanno realizzato ricavi non superiori a 200.000euro di media negli ultimi tre anni. Inoltre il debito scaduto non deve essere inferiore a 25.000 euro.
Questa norma limita moltissimo gli imprenditori soggetti a fallimento, con drastica limitazione del diritto dei lavoratori a recuperare i loro crediti. L’esperienza dimostra che la stragrande maggioranza dei lavoratori è occupata in aziende che non potranno più fallire, oppure non falliranno perché il credito vantato non raggiunge i 25.000 euro.
Sarà enorme anche la difficoltà, per i lavoratori, ad accedere al fondo posto a garanzia del pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità non percepite.
La prevista riforma del fallimento tende inoltre a trasformare il Giudice Delegato in mero controllore (notaio) delle attività dei curatori, a cui sarà affidato il delicatissimo compito di guidare e governare l’intera procedura. In precedenza, va ricordato, il Giudice Delegato “ e “In sostanza viene privatizzata la direzione della procedura fallimentare, sottraendola al Giudice Delegato ed affidandola a privati, con tutti i prevedibili rischi.
Alla Conferenza Stampa,
alla quale hanno partecipato SUSANNA CAMUSSO, Segretario Generale della Cgil Lombardia e STEFANO LANDINI, Segretario della Camera del Lavoro di Milano, erano presenti gli avvocato del sindacato che hanno distribuito alla stampa la nota allegata.
Milano 17 ottobre 2005
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COMUNICATO STAMPA CGIL NAZIONALE
Riforma diritto fallimentare: Fammoni (CGIL) “Intollerabile attacco ai diritti dei lavoratori”
“Con la legge 80/05 con cui è stata modificato l’istituto della revocatoria e del concordato preventivo prima, e con la proposta di legge di riforma del diritto fallimentare poi, siamo alle prese con un vero e proprio blitz della destra a danno dei lavoratori”.
Così Fulvio Fammoni, segretario nazionale della Cgil, commenta - prendendo le mosse dalla conferenza stampa organizzata dalla Consulta giuridica del sindacato lombardo - le proposte del Governo sulla riforma del diritto fallimentare.
“Ci troviamo di fronte ad una norma, scritta con una fretta quanto mai sospetta, non discussa con nessuno, a partire dalle parti sociali – continua Fammoni – Una norma che praticamente escluderà centinaia di migliaia di imprese dalle tutele previste oggi dalle procedure concorsuali a difesa dei lavoratori. La definizione infatti di piccolo imprenditore (e quindi non soggetto alle norme sul fallimento) è tale da comprendere anche imprese medio grandi con più di 10-15 dipendenti, che da domani potranno quindi chiudere e “scappare” con la cassa, senza rispondere a nessuno. Incoraggiando, di fatto, anche pratiche di “finti fallimenti”, “immersione delle aziende”, truffe a danno di consumatori e utenti. “
“Non solo, ma avremo per questa via l’equiparazione dei lavoratori a creditori “semplici”, che quindi dovranno mettersi in fila dietro a fornitori e amministrazioni locali, con quale rischio di non avere nulla, poi, del tutto evidente”.
“Inoltre, con le nuove norme, sarà ancora più difficoltoso, per i lavoratori, accedere al fondo posto a garanzia del pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità non percepite.”
“Soprattutto – continua il segretario della Cgil – rischia di venire meno ogni forma di reale controllo dei lavoratori durante i procedimenti di riscossione dei crediti. Il combinato disposto infatti di una norma che, da un lato, trasforma il giudice delegato in semplice controllore e non più in colui che dirige le operazioni di fallimento, e che dall’altro, prevede l’aumento di oneri e responsabilità per i componenti dei comitati dei creditori senza compenso alcuno, farà sì che agli stessi comitati potranno partecipare solo quei soggetti in grado di compensare adeguatamente il proprio rappresentante. E i lavoratori non sono tra questi.
”
“Non solo non si fa quindi nulla per impedire che le imprese falliscano, con politiche industriali e di sviluppo serie ed efficaci, ma si minaccia il diritto stesso dei lavoratori, vittime del fallimento, a recuperare quanto loro dovuto”.
“Per questi ed altri motivi come Cgil – conclude Fammoni – giudichiamo inaccettabile la proposta del Governo, secondo diversi ed eminenti giuristi anche di dubbia costituzionalità . E chiediamo al Parlamento e a tutte le forze politiche di impegnarsi per non approvare questo ennesima truffa a danno dei lavoratori.”
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LA RIFORMA DEL FALLIMENTO E DELLE PROCEDURE CONCORSUALI.
RILIEVI CRITICI E PROPOSTE CORRETTIVE
A cura di:
avv. Domenico Roccisano, avv. Davide Pollastro
del coordinamento Uffici Legali della Cgil di Milano
Nel corso degli ultimi mesi e settimane sono state emanate, o sono in corso di approvazione, profonde modifiche agli istituti legislativi che regolano le ipotesi di crisi e/o insolvenza dell’imprenditore.
Detti provvedimenti legislativi sono tali da ridisegnare l’impalcatura complessiva, in particolare, della legge fallimentare che pure rappresentava, malgrado gli anni e le oggettive esigenze di modifiche che nel tempo si erano rese opportune, una struttura normativa oggettivamente coerente e non priva di efficacia.
Si intende richiamare in particolare la Legge n° 80/2005, tramite la quale sono stati profondamente modificati l’istituto della revocatoria, l’istituto del concordato preventivo e viene introdotto un nuovo istituto di derivazione anglosassone, .
Contestualmente, è in corso di esame parlamentare una complessiva riforma della legge fallimentare, per la quale è stata prevista la adozione tramite decreto legislativo con un dibattito riservato solo ad alcune delle commissioni parlamentari.
A fronte di tale scenario non si può non segnalare l’oggettiva perplessità di ogni operatore, sia esso il giurista come il rappresentante delle forze sociali, apparendo assolutamente incomprensibile e comunque ingiustificata la frettolosità tramite la quale si intende imporre radicali riforme di istituti di primaria importanza, letteralmente strozzando ogni adeguato e preventivo confronto.
Da tempo e unanimemente si era osservato come la complessiva materia della regolazione dei casi di crisi e di insolvenza dell’imprenditore necessitasse di una complessiva riforma, anche nella ricerca e sperimentazione di nuovi ed originali strumenti di intervento; ma proprio tale unanime esigenza avrebbe dovuto indurre l’Autorità Governativa ad evitare interventi frettolosi e, come tali, approssimativi, di fatto azzerando ogni effettiva dialettica.
Nel merito delle norme emanate e di quelle in corso di emanazione, non si può non condividere la prospettiva ideale con le quali sono state presentate, ovvero lo sforzo di superare una logica unicamente orientata a liquidare le imprese insolventi, per accedere piuttosto ad una impostazione tesa a prevenire le situazioni di crisi così da evitare, per quanto possibile, la definitiva chiusura della impresa.
E’ di tutta evidenza infatti che, per la Organizzazione Sindacale, l’impresa non rappresenta solo un bene privato, bensì un patrimonio collettivo su cui insiste una collettività di lavoratori, sia quella direttamente dipendente sia quella che indirettamente deriva la propria attività da quella impresa. In tale ottica appare di preliminare interesse superare la tradizionale impostazione tipicamente liberistica delle procedure concorsuali, tutta e solo orientata alla eliminazione dal mercato degli imprenditori “incapaci”, per attivare e realizzare piuttosto un insieme coordinato di strumenti che consentano di prevenire ed intervenire nelle ipotesi di crisi, nell’obiettivo primario di salvaguardare l’impresa ed il lavoro che essa determina.
Tanto premesso, tuttavia, una attenta disamina delle nuove norme, e soprattutto di quelle già emanate tramite la Legge 80/2005, relative al concordato preventivo ed agli accordi di ristrutturazione dei debiti, sembrano radicalmente contraddire gli impegni ideali posti a fondamento delle riforme; l’impalcatura complessiva delle disposizioni infatti sembra più rispondere ad una esigenza di tipo liquidatorio senza alcuna reale novità o anche solo progetto di effettivo intervento preventivo nelle ipotesi di crisi.
E c’é di più; la struttura complessiva delle riforme introdotte sull’istituto del concordato e il nuovo istituto della ristrutturazione dei debiti, letti in parallelo con la riforma del sistema della azione revocatoria è tale da fare sorgere più di un dubbio sulla reale efficacia di tali disposizioni. Emerge anzi evidente l’introduzione di disposizioni tali da determinare un fin troppo facile strumento di elusione della a tutto vantaggio di alcuni creditori di fatto superprivilegiati.
Da più parti si è fatto riferimento ad una legge fatta e pensata ad esclusivo interesse degli istituti bancari; ed in effetti, senza volere a tutti i costi cercare dietrologie maliziose, il dubbio appare più che fondato ed il rischio di un utilizzo distorto delle nuove disposizioni appare talmente agevole da renderlo di fatto inevitabile.
In tale quadro normativo, profondamente preoccupante, occorrerebbe quanto meno immaginare un adeguato intervento sanzionatorio, anche di tipo penale, nei confronti dei soggetti che realizzino percorsi di ristrutturazione dei debiti e di concordato in modo scorretto.
A puro titolo di esempio, appare del tutto inaccettabile che i tecnici che procedano alla certificazione dei programmi di ristrutturazione dei debiti, non debbano rispondere anche penalmente di certificazioni non corrette e coerenti.
Per quanto riguarda la ipotizzata riforma della legge fallimentare, limitandosi ad alcuni soli degli aspetti più problematici, non può sfuggire all’attenzione la radicale riduzione dell’ambito di applicazione dell’istituto del fallimento.
La puntuale definizione della nozione di piccolo imprenditore infatti, e di riflesso delle imprese destinatarie delle disposizioni in materia di fallimenti, determina nei fatti la esclusione di una amplissima fetta di lavoratori dipendenti dalle tutele che, nel bene e nel male, comunque, la procedura concorsuale determina.
Lo schema del decreto, infatti , stabilisce che sono piccoli imprenditori (e quindi non soggetti al fallimento) gli imprenditori che hanno effettuato investimenti nell’azienda sino a 300.000 €, e che hanno realizzato ricavi lordi di valore non superiore ad una media di 200.000 € all’anno negli ultimi tre anni.
Inoltre, sulla base di quanto disposto dall’art. 13 dello schema di decreto legislativo in esame, il debito scaduto non deve essere inferiore a 25.000 €.
E’ evidente che le norme di cui sopra limiteranno fortissimamente gli imprenditore soggetti al fallimento, con conseguente drastica limitazione del diritto dei lavoratori a recuperare i crediti vantati.
L’esperienza ci dice infatti che la stragrande maggioranza dei lavoratori opera all’interno di aziende che, con l’entrata in vigore della nuova normativa , non potranno fallire in quanto piccoli imprenditori. Oppure non falliranno perché il credito vantato è inferiore a 25.000 €.
In presenza di tale situazione il lavoratore non potrà fare altro che procedere con le ordinarie azioni di recupero del credito.
E’ di tutta evidenza che la integrale riconduzione delle garanzie dei crediti, anche quelli derivanti da lavoro, nell’ambito delle ordinarie procedure esecutive è tale da alterare in modo assai grave le garanzie di privilegio, oltre all’evidente moltiplicazione dei costi delle procedure ed il rischio tutt’altro che remoto da rendere di fatto impossibile, o comunque sconveniente per il lavoratore attivare tutte le azioni possibili per recuperare importi magari oggettivamente non elevati, ancorché di enorme importanza nell’economia di ogni famiglia.
Non solo, la drastica limitazione dell’area di applicazione della procedura fallimentare è altresì tale da determinare enormi difficoltà nell’accesso al Fondo di Garanzia posto a garanzia del pagamento dei TFR e, di parte almeno, delle ultime tre mensilità dei rapporti di lavoro.
La legge da un lato, ma anche distorte e forzate interpretazioni dell’Istituto Previdenziale dall’altro lato, impongono infatti ai lavoratori / creditori dipendenti da imprenditori non soggetti alla procedura di fallimento, oneri e procedure assai lunghe e dall’esito assai incerto per accedere ai benefici del Fondo di garanzia.
In tale ambito senza addentrarci nello specifico dell’istituto e della sua applicazione, sarebbe quanto mai opportuno prevedere, quanto meno, una precisa e meno gravosa forma di procedura di accesso ai Fondi digaranzia, rappresentando i medesimi, nei fatti, spesso l’unico effettivo risultato ottenibile in ipotesi di insolvenza dell’imprenditore.
Particolare allarme suscita poi la progressiva trasformazione del ruolo del magistrato fallimentare e, di riflesso, lo spostamento della sede di effettivo controllo della attività degli organi della procedura concorsuale.
La legge 80/05 da un lato, ma in forma ancora più marcata la prevista riforma del fallimento, tendono a trasformare il Giudice Delegato in un mero controllore della attività dei curatori, affidando a questi ultimi l’effettivo ruolo di guida e governo dell’intera procedura.
Infatti, il Giudice delegato nella riforma assume “(art. 22), mentre in precedenza ” e (art. R.D. 267/1942).
L’attività dei curatori viene mitigata solamente tramite nuovi e più penetranti poteri, e responsabilità, affidate al comitato dei creditori; comitato che ha le stesse responsabilità previste dalla legge pei i collegi sindacali delle società per azioni.
I fronte di tanta responsabilità i componenti del comitato dei creditori hanno diritto al solo rimborso delle spese.
Tale impalcatura della legga suscita più di una perplessità: davvero non si comprende infatti come si possa pretendere di affidare oneri e responsabilità a professionisti che esplicitamente dovrebbero esercitare tale attività in forma del tutto gratuita.
Già oggi il comitato dei creditori rappresenta uno strumento sterile e privo di un effettivo ruolo di controllo; è lecito temere che le nuove responsabilità e impegni cui vengono chiamati i membri del comitato non facciano altro che determinare una oggettiva disponibilità a partecipare a detto organo solo a quei creditori in grado di compensare adeguatamente il proprio rappresentante e certo questi non saranno i lavoratori dipendenti.
Indispensabile pertanto appare un complessivo ripensamento del ruolo e dei compiti del Magistrato fallimentare, nell’ottica di ricondurre, o meglio di mantenere comunque nella sede giudiziaria l’effettivo governo della complessiva procedura concorsuale.
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