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Commento alle disposizioni in materia di salvaguardia dalle disposizioni sul
diritto a pensione ex L.214/2011 – lavoratori c.d. “esodati”
Il 24 luglio é stato pubblicato
sulla G.U. il decreto ministeriale del
1° giugno 2012, predisposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con la definizione
dei criteri e della platea dei lavoratori che potranno andare in pensione con i
requisiti vigenti prima della legge 214/2011 (la cosiddetta manovra
Monti-Fornero).
Il
decreto era stato approvato nel corso della seduta del Consiglio dei Ministri
del 1° giugno, ma ci sono voluti quasi quaranta giorni (il visto è del 12
luglio) perché la Corte dei Conti apponesse al provvedimento il visto di legittimità;
la natura del controllo è anche di giurisdizionale, non è escluso che oltre al
tema della copertura, i giudici contabili si siano interessati ad alcuni
elementi che rappresentano secondo noi un eccesso del Governo rispetto alla
delega del Parlamento.
In
particolare, riguardo la platea dei lavoratori in lista di mobilità, l’art.24
della L.214 faceva riferimento alla data di sottoscrizione degli accordi
sindacali fissandola al 31 ottobre 2011 (poi modificata in 4 dicembre), il
decreto invece la fissa come data di cessazione del lavoro (licenziamento).
Analogamente, per i lavoratori in mobilità lunga si faceva riferimento alla
data di stipula degli accordi collettivi, che diventa nel decreto del Ministro
Fornero, la data di licenziamento. Naturalmente, la “scelta” esclude dalla
salvaguardia tutti coloro per cui gli accordi sindacali sono stati sottoscritti
prima del 4 dicembre (data in cui la legge è stata approvata dal Parlamento e
fino alla quale oggettivamente regnava una significativa incertezza).
Ma
è riguardo gli autorizzati ai versamenti volontari che il decreto opera le
chiusure più drastiche. Mentre la legge parla in modo del tutto generale degli
autorizzati alla prosecuzione volontaria prima del 4 dicembre 2011, nel decreto
si opera una riduzione della platea a coloro che perfezioneranno il diritto a
pensione entro il 6 dicembre 2013, che per un lavoratore dipendente significa
perfezionare i requisiti di età e contribuzione entro novembre 2012 o il 5
dicembre 2012 secondo che si trovi assicurato con l’Inps o sia un dipendente
pubblico. Inoltre, si introduce il requisito particolarmente odioso di non aver
mai ripreso il lavoro neanche a termine, attribuendo così una valuta negativa a
un comportamento di responsabilità sociale e individuale, quello di ricercare
attivamente una occupazione anche a termine per sostenere la propria sorte economica
e previdenziale (requisito introdotto arbitrariamente dal decreto anche per i
lavoratori cessati sulla base di accordi collettivi o individuali).
Di
questi aspetti, naturalmente la Cgil, oltre ad avere formulato un giudizio
politico, opererà una valutazione giuridica, per individuare gli eventuali
margini di contenzioso possibile.
Certo,
che la querelle dei numeri degli “esodati” che ha caratterizzato il dibattito
non soltanto politico della primavera scorsa, assume contorni più chiari, ora
che leggiamo nel decreto quello che evidentemente era dall’inizio nella testa
del Ministro. Se si escludono dal calcolo, tutti gli autorizzati alla
prosecuzione volontaria che perfezioneranno i requisiti per la pensione
successivamente al novembre di quest’anno, si esclude una platea tale da
spiegare con ciò soltanto, le affermazioni svolte dal DG dell’Inps Mauro Nori,
quando udito dalla Camera dei Deputati l’11 aprile scorso, riferiva il numero
di circa 390mila esodati da tutelare; gli autorizzati ai versamenti infatti,
che stanno faticosamente inseguendo il requisito contributivo (provate voi a
versare senza lavorare), secondo i dati dell’INPS sono almeno 200mila, il decreto
invece ne tutela 10.250. Certo i dati elaborati dall’Inps, facevano
probabilmente riferimento ai criteri fissati dalla legge 214: che altro?
Per
beneficiare della deroga, alcune categorie di lavoratori (dipendenti pubblici
in esonero dal servizio, lavoratori in congedo per assistere figli con
disabilità, lavoratori che hanno risolto il rapporto di lavoro in base ad
accordi individuali o collettivi di incentivo all’esodo) dovranno presentare
domanda entro il 21 novembre alla DTL competente sul territorio dove sono
residenti, tranne nel caso in cui siano stati sottoscritti accordi di
risoluzione del rapporto di lavoro proprio presso una DTL, diversa da quella di
residenza, che in tal caso diviene competente al rilascio della attestazione
del diritto.
Anche
in questo caso abbiamo una conferma delle ombre che dall’inizio hanno velato la
questione del numero delle persone da salvaguardare; per un verso il Ministro
vuole “tenere un piede” del Ministero dentro le procedure di accertamento del
diritto e stabilire allo stesso tempo un canale di colloquio diretto con
l’Inps, aggiungendo nella composizione delle commissioni un funzionario
dell’Istituto. D’altra parte, da questa soluzione abbiamo la conferma che né
l’Inps, né tantomeno il Ministero, dispongono di un numero verosimile per le
categorie obbligate all’istanza, e che i numeri formulati nel decreto nono
l’esito esclusivamente di programmazione economica e non anche di scelte di
politica sociale.
Il
Ministero ha aperto presso ogni DTL un canale “telematico” dedicato,
dichiarando implicitamente di privilegiare tale modalità per la ricezione delle
domande e per l’invio delle risposte; anche per il lavoratore è opportuno
preferirla, perché è probabile che sarà quella meglio allestita dalle DTL sul
piano organizzativo. Allo scopo è auspicabile utilizzare sistemi posta PEC,
come farà il Ministero, attribuendo così alle comunicazione una piena validità
legale e la massima sicurezza nella procedura di recapito. Cgil consiglia a
tutti i lavoratori coinvolti di farsi assistere dall’Inca da subito, per la
consulenza sulla posizione assicurativa e la domanda di pensione, e anche per
la predisposizione della eventuale domanda alla DTL.
I
provvedimenti delle Commissioni, che saranno istituite presso ogni DTL, qualora
fossero di reiezione, potranno essere oggetto di ricorso (si tratta di una atto
di natura amministrativa, non è chiaro se un ricorso o un riesame) oppure di
ricorso al TAR, entro 30 gg. dal ricevimento del provvedimento. Ora, il ricorso
amministrativo va proposto allo stesso organismo che ha emesso il provvedimento
impugnato, quindi, a meno che la Commissione non abbia valutato elementi che
invece sono in possesso del lavoratore (ma allora non si capisce perché il
lavoratore non avrebbe dovuto produrli da subito) è poco probabile che i
ricorsi possano rappresentare strumenti efficaci. Il contenzioso si farà
pertanto nei confronti del TAR, e per la sorte del lavoratore questo è un
problema in più: i tempi di definizione dei ricorsi nella maggior parte dei TAR
sono un po’ più lunghi che innanzi un Giudice del Lavoro (soprattutto nel caso
non trovi accoglimento la richiesta sospensiva), e i costi del ricorso
potrebbero essere maggiori se le cancellerie dei TAR non dovessero ammettere la
natura previdenziale del ricorso.
L'Inps,
prima ancora della pubblicazione in GU del decreto, ha dato avvio ad un
programma operativo finalizzato a predisporre correttamente la lista dei 65.000
lavoratori e lavoratrici che potranno beneficiare della salvaguardia.
Si
tratta di un’attività che vogliamo seguire con attenzione perché presenta
elementi di potenziale criticità; per l’istituto sarà un banco di prova, non
già per il potenziale operativo disponibile (i numeri in gioco non sono certo
tali da sopraffare la tecnostruttura dell’Istituto) quanto per il modello
scelto, piuttosto innovativo sul piano procedurale.
Nella
prima fase i potenziali interessati stanno ricevendo una comunicazione; qui il
ruolo dei patronati è tutt’altro che evidenziato, poche parole nascoste nel
testo della lettera, che suggeriscono di come l’Istituto stia tentando di
tornare a presidiare il tradizionale terreno della consulenza, entrando in
competizione con i patronati. L’Inps sperimenta un nuovo sistema organizzativo,
basato sul Contact Center e sul nuovo Sportello Amico (quest’ultimo non
strutturale); nella scia delle scelte di piattaforma telematica, si propone di
instaurare un rapporto con il lavoratore che non prevede necessariamente un
incontro di persona. La stessa struttura, va detto, sarà messa a disposizione
dei patronati.
Due
elementi, oggettivi, meritano attenzione nel programma instaurato dall’Inps;
alcune categorie di lavoratori non riceveranno la lettera, l’Istituto ha
listato i lavoratori in mobilità, quelli iscritti ai fondi negoziali di solidarietà,
e quelli autorizzati ai VV, le altre categorie non riceveranno avvisi, si
evidenzia subito una tutela a due velocità che distingue persone da subito
prese in carico dal sistema, dalle altre che debbono agire e acquisire
coscienza della propria posizione potenziale di diritto. I tempi stabiliti
dall’Inps (fine campagna, significa prime 55mila posizioni già certificate) a
cavaliere del mese di agosto, confliggono con due elementi. I tempi per la
certificazione da parte delle DTL (preliminare a quella Inps) si chiudono molto
dopo, come detto il 21 novembre. Inoltre, le procedure informatiche sono
tutt’ora in fase di predisposizione (lo erano il 23 luglio, data in cui abbiamo
partecipato alla videoconferenza organizzata dall’Inps).
La
questione quindi è tutt’altro che chiusa, sia sul versante politico che
tecnico-giuridico; Cgil continua a chiedere, anche oltre l’estensione a 55mila
soggetti operata con il decreto sulla cosiddetta spending-review, l’apertura
della salvaguardia a tutti i lavoratori colti nel “guado” sul piano
previdenziale, dalle modifiche ai requisiti introdotti dalla L.214. Non sfugge
che la posizione degli autorizzati alla prosecuzione volontaria ante Dlgs.
503/1992, per cui il requisito per la pensione di vecchiaia risulta incrementato
da 15 a
20 anni, è ancora irrisolta. E sullo sfondo imperversano sui diritti, anche gli
effetti nefasti degli interventi sulle ricongiunzioni operati con la L.122 del
2011, solo parzialmente attenuati dalla revisione della disciplina della
totalizzazione, in un quadro in cui il prezzo della previdenza sta assumendo
proporzioni insopportabili per la sorte individuale di molti.
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