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La manovra complessiva del governo sulla previdenza“La finanziaria non esiste senza la riforma delle pensioni“ queste le parole del Ministro Tremonti, che ammettono sia la vacuità della politica economica di questo Governo, fondata sui condoni e le una tantum, sia l’inderogabile necessità di mettere le mani sul sistema previdenziale per motivi di cassa. Per ora, comunque, il Governo non ha superato l’esame, visto che l’Ecofin ha rinviato il proprio giudizio sulla manovra complessiva presentata dal Governo a novembre e cioè alla presentazione da parte dell’Italia dell’adeguamento del Patto di stabilità.
La manovra del Governo sulla previdenza si articola in tre provvedimenti:
1. l’emendamento alla delega previdenziale, che prevede il vero e proprio scardinamento della legge DINI.
1. la legge finanziaria 2004, che appare alquanto “vuota”, anche per quello che riguarda le disposizioni in materia previdenziale,
2. il decreto legge 269 del 30 settembre 2003, entrato in vigore il 2 ottobre, relativo a “ disposizioni urgenti in materia di sviluppo e di correzione dell’andamento dei conti pubblici”, che sulla previdenza, prevede, invece, norme “pesanti”e inaccettabili.
L’emendamento presentato dal Governo alla legge delega sulla previdenza, pubblicato finora solo da Sole 24 ore di sabato 4 ottobre, è una vera e propria controriforma delle pensioni: inutile, dannosa, iniqua e fondata su evidenti falsità.
L’emendamento, inoltre, è confuso, caotico, pieno di imprecisioni ed inesattezze e soprattutto è lontano dalla chiarezza e dal rigore che sono necessari per la scrittura di qualsiasi norma di legge.
Il testo evidentemente risente dei compromessi raggiunti all’interno della maggioranza ma anche del fatto che chi lo ha materialmente steso ha dovuto inserire nell’articolato argomenti che nulla hanno a che vedere rispetto all’elaborazione di una norma di legge.
Il Governo ha pensato, infatti, di inserire nel testo sia le promesse fatte agli italiani sia addirittura la sfida rivolta ai Sindacati per l’eventuale presentazione di proposte alternative (da individuare comunque in base agli obiettivi economici determinati dal Governo!) come se tali questioni potessero essere regolate da norme di legge!
Il testo quindi è complessivamente pericoloso ed inaccettabile; in alcune parti è addirittura demenziale: diciamo che è l’esatta rappresentazione del pressappochismo, della faciloneria e dell’arroganza di questo Governo. Un vero esempio di inciviltà!
Ma vediamo ora, articolo per articolo, che cosa prevede l’emendamento.
Art.1bis Certificazione del diritto alla pensione di anzianità.
E’ l’articolo delle promesse. In base a tale articolo i lavoratori che raggiungono i requisiti vigenti per il diritto alla pensione di anzianità nel sistema retributivo o il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema contributivo entro il 31 dicembre 2007, “conseguono” il diritto alla prestazione pensionistica e “possono” chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto. Viene altresì precisato che i lavoratori possono esercitare “liberamente” il diritto alla prestazione pensionistica in qualsiasi momento successivo alla data di raggiungimento dei requisiti,”indipendentemente da ogni modifica della normativa successiva alla certificazione stessa”.
La formulazione della norma risponde evidentemente all’esigenza del Governo di dare “garanzie” agli italiani in merito al fatto che fino al 2008 i requisiti per il diritto alle anzidette prestazioni restano fermi e nello stesso tempo convincerli a prolungare l’attività lavorativa, con la promessa della certificazione del diritto acquisito e dell’ininfluenza delle successive nuove norme più restrittive sui loro trattamenti.
Non possiamo che ribadire qui quanto abbiamo già detto in merito alla certificazione del diritto contenuta nella legge delega e cioè che il Governo può scrivere ciò che vuole ma la garanzia del mantenimento dei requisiti non sussiste neanche se viene scritta formalmente nella norma di legge, visto che ogni provvedimento successivo può modificare il precedente. In sostanza non esiste un provvedimento di legge che possa sancire l’immutabilità delle norme: tutto può sempre essere modificato, sostituito o abrogato. Ancora una volta ripetiamo, inoltre, che questa non è solo la nostra profonda convinzione, dal momento che analoghe perplessità e valutazioni sono state espresse anche nei documenti elaborati dalla Camera e dal dibattito parlamentare.
Né vogliamo entrare nel merito dei problemi che sorgeranno rispetto al rilascio della certificazione: tenendo presente che l’INPS ha avuto e continua ad avere notevoli problemi per il rilascio dell’estratti conto certificativi, già previsto, a suo tempo, dall’art.54 della legge 88/1989 (per i quali ancora oggi occorrono particolari richieste e procedure), mentre non possiamo non far rilevare che sarà ben difficile che altri istituti previdenziali (INPDAP, ENPALS, IPOST) siano nelle condizioni di poter rilasciare alcunché. Ma di questo il Governo doveva aver tenuto conto, visto che nella sua proposta iniziale, ora solo parzialmente modificata, i lavoratori del pubblico impiego erano esclusi dagli incentivi!!!
Ci chiediamo, inoltre, quale fiducia possa avere un lavoratore rispetto a questo Governo e alle sue promesse di rispetto della certificazione acquisita, quando contestualmente all’emendamento sulla delega il Governato ha varato il decreto legge 269,
dove all’art.47 ha cancellato il diritto ai benefici previdenziali riconosciuti ai lavoratori esposti all’amianto anche nei confronti di coloro già in possesso di “certificazione” rilasciata dall’INAIL.
Art.1-ter Misure a garanzia della sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico obbligatorio.
Già il titolo è tutto un programma. E’ da rilevare che la controriforma proposta dal Governo fa riferimento sempre e solo ai problemi di sostenibilità finanziaria, dimenticando che l’Europa ci chiede di garantire l’adeguatezza delle prestazioni e che il Parlamento europeo il 24 settembre scorso ha approvato una risoluzione, che va proprio nel senso opposto rispetto alle proposte del nostro Governo, dal momento che mette a fondamento di qualsiasi modifica dei sistemi previdenziali dei vari Paesi la flessibilizzazione dell’età pensionabile e del passaggio dalla vita attiva alla pensione.
Il Parlamento europeo si è pronunciato in maniera chiara ed inequivocabile contro qualsiasi aumento obbligatorio dell’età pensionabile, manifestando invece la propria approvazione “per un innalzamento dell’età effettiva di pensionamento, che venga realizzato con incentivi e non con disincentivi quali la drastica riduzione dell’entità della pensione. “Tutto ciò significa – dice il Parlamento europeo - che i Governi devono saper coniugare politiche di sviluppo economico e di innovazione, con la capacità di aumentare l’occupazione mediante la promozione attiva delle opportunità di formazione permanente, del miglioramento della qualità del lavoro e di un ambiente lavorativo salubre e sicuro.”
A decorrere dal 1 gennaio 2008 sarà possibile andare in pensione di anzianità nel sistema retributivo solo con 40 anni di contributi. In via sperimentale e fino al 31 dicembre 2015, sarà ancora possibile andare in pensione di anzianità con 35 anni di contribuzione e con 57 anni età per i lavoratori dipendenti (58 per gli autonomi) a condizione che i lavoratori interessati optino per la liquidazione del trattamento in base alle regole del sistema contributivo.
Nonostante tutte le promesse fatte, il Governo, quindi, non solo ha toccato le pensioni di anzianità, ma ha addirittura deciso di cancellarle. Le pensioni di anzianità, infatti, a decorrere dal 2008, non esisteranno più, visto che da un giorno all’altro si passa da 35 a 40 anni di contributi o sarà necessario raggiungere l’età pensionabile per il diritto alla pensione di vecchiaia . La possibilità che viene concessa a coloro che hanno 57 anni di età e 35 anni di contributi di continuare ad andare in pensione con l’intero trattamento calcolato con il sistema contributivo non può,
infatti, essere considerata una chance: è una vera mannaia sui diritti dei lavoratori!
Il provvedimento assunto dal Governo, a sorpresa e senza alcun confronto con i sindacati, viene spacciato come una norma che garantisce la libertà di scelta del lavoratore, che può decidere di andare in pensione prima dei 40 anni di contribuzione, accettando un sistema di calcolo penalizzante.
La prima cosa da dire è che la libertà di scelta non esiste in questo caso dal momento che per scegliere bisogna avere due opzioni accettabili: qui il lavoratore si trova davanti o ai 40 anni contribuzione, o ad una pensione fortemente decurtata, quindi, il lavoratore non sceglie subisce.
La seconda cosa da dire è che il provvedimento è iniquo e fortemente contraddittorio: iniquo perché scarica solo sui lavoratori tutte le penalizzazioni, contraddittorio perché non tiene conto che le imprese sempre più spesso scelgono di espellere dai processi produttivi masse di lavoratori sempre più giovani, considerandoli vecchi ed inutilizzabili per le attività produttive.
La terza cosa da dire è che la riproposizione dell’opzione per il sistema di calcolo contributivo, senza l’introduzione di determinati correttivi, ripropone anche, senza alcuna soluzione, tutta la questione che era stata all’origine delle norme modificative e cioè la famosa polemica relativa ai cosiddetti “rinoceronti”, cioè a coloro che avendo retribuzioni elevate con il sistema di calcolo contributivo hanno tutto da guadagnare, visto che in tale sistema non è previsto un tetto pensionabile. Insomma la norma in questione sarà estremamente penalizzante per “i nostri” lavoratori, mentre costituirà un ulteriore premio per coloro che già hanno retribuzioni altissime.
La questione dell’opzione per il sistema di calcolo contributivo, invece, deve essere affrontata nella sua interezza: ciò significa che l’opzione deve essere ripristinata in tutte le fattispecie e che devono essere contestualmente individuati gli elementi che permettano una corretta applicazione della norma per tutti i lavoratori, senza creare ulteriori privilegi. L’opzione, inoltre, deve essere veramente una libera scelta del lavoratore.
Nell’ipotesi governativa, invece, l’opzione viene individuata come misura punitiva: dobbiamo partire, infatti, dalla considerazione che i lavoratori che stanno nel sistema retributivo, avrebbero avuto, in base alle precedenti riforme, diritto ad una pensione calcolata interamente con il sistema retributivo, mentre i lavoratori che stanno nel sistema misto avrebbero avuto titolo ad una prestazione calcolata in pro quota. Calcolare l’intera prestazione con il sistema contributivo significa, quindi, applicare nei loro confronti una pesante penalizzazione con decorrenza retroattiva,
dal momento che per fare il calcolo dei periodi precedenti al 31 dicembre 1995, non si va a prendere il 33% dell’imponibile contributivo per ogni anno di lavoro, così come previsto dalla riforma DINI, per i periodi successivi al 1 gennaio 1996, ma si effettua una sorta di calcolo virtuale (media degli ultimi 10 anni per l’INPS, media degli ultimi tre anni per l’INPDAP) applicando alle retribuzioni di riferimento le aliquote contributive vigenti nei vari anni (ovviamente più basse). Senza voler entrare ulteriormente nei dettagli del calcolo quanto mai complessi, per i quali eventualmente rimandiamo alle numerose informazioni fornite dalla nostra struttura di tutela INCA, ricordiamo solo che i meccanismi individuati penalizzano ancora di più i lavoratori che hanno maggiore anzianità contributiva.In sostanza, a seconda della retribuzione percepita e della dinamica di carriera, sono possibili perdite che vanno dal 15 al 40% rispetto al trattamento spettante in base al sistema retributivo. Né tale perdita può essere contemperata dalla previdenza complementare, visto che ad esempio tale prestazione ancora praticamente non esiste per i pubblici dipendenti e non ha avuto il necessario e giusto sviluppo neanche per i dipendenti privati.
E’ prevista una verifica entro il 31 dicembre 2005 dei risultati della sperimentazione, ai fini di una eventuale prosecuzione dell’esperimento!!
La sorpresa più grave nell’emendamento presentato del Governo è comunque quella relativa all’annullamento di uno dei punti cardine della riforma DINI: la flessibilità dell’età pensionabile, flessibilità che significava non solo libera scelta della lavoratrice e del lavoratore rispetto all’età in cui collocarsi in pensione, ma anche parificazione dei requisiti tra uomo e donna (parificazione che ovviamente è possibile solo in un sistema flessibile).
La flessibilità inoltre era ed è strettamente legata al sistema di calcolo contributivo: una cosa è strettamente interconnessa con l’altra. Ma questo Governo, che già aveva pensato alla decontribuzione per scardinare il sistema contributivo, ha pensato bene che per operare una completa distruzione della legge Dini doveva operare anche sul fronte dell’età pensionabile: stabilire nel sistema contributivo un’età pensionabile fissa ed obbligatoria è un controsenso, significa, infatti, ripristinare delle rigidità che si rivelano incompatibili con il sistema oltre ad essere estremamente penalizzanti per i lavoratori.
L’età pensionabile flessibile era il patto stipulato con i giovani, con quelli cioè che hanno cominciato a lavorare dopo il 1 gennaio 1996: a tali soggetti, infatti, la legge Dini garantiva sicuramente un trattamento pensionistico diverso rispetto al retributivo,
un trattamento commisurato alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa, legato però anche alla possibilità dei lavoratori di scegliere se andare in pensione prima e quindi percepire consapevolmente una pensione ridotta oppure attendere i 62 anni per percepire un trattamento più o meno pari a quello che sarebbe stato garantito dal sistema retributivo o ancora aspettare i 65 anni per percepire un importo di pensione, che,in molti casi, avrebbe potuto essere più elevato rispetto a quello previsto nel sistema retributivo.
Il Governo ha rotto questo patto: dal 1 gennaio 2008 per i lavoratori che si trovano nel sistema contributivo la nuova età pensionabile minima è fissata obbligatoriamente a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini. Ciò vuol dire che nel sistema contributivo sarà possibile andare in pensione di vecchiaia (l’unica prestazione che esiste) solo con tali limiti di età, sempre che si abbiano almeno 5 anni di contributi e un importo di pensione pari ad almeno 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale. La nuova norma, infatti, non ha modificato né cancellato gli altri requisiti per il diritto pensione, anche se l’età minima prevista per gli uomini pone qualche problema di correlazione con la precedente normativa, dal momento che essa prevedeva per tutti i soggetti indipendentemente dal sesso la possibilità di andare in pensione da 57 a 65 anni, mentre solo il compimento del 65 esimo anno di età (prima considerata età massima) dava la possibilità di ottenere la pensione senza tener conto del requisito relativo all’importo della pensione maturata: e ora? Ai posteri l’ardua sentenza. Appare evidente da una parte che la norma è frutto di grande approssimazione e dall’altra che il Governo ha forse appena cominciato a metterci le mani: non sembra irrealistico pensare che la norma potrebbe in un prossimo futuro essere peggiorata, prevedendo un ulteriore innalzamento dell’età pensionabile obbligatoria, magari a 67 anni, chiamando magari in causa la riforma della Germania.
Nel sistema contributivo inoltre sarà ancora possibile andare in pensione con 40 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica. A parte ogni considerazione sul possibile raggiungimento (quasi miracoloso) di 40 anni di contributi in un mercato del lavoro sempre più precarizzato, si ricorda che ai fini del raggiungimento dei 40 anni non vengono considerati i contributi da riscatto relativi ai periodi di studio e i versamenti volontari, mentre gli anni di lavoro precedenti il compimento del 18esimo anno di età vengono maggiorati con il coefficienti 1,5.
Il Governo è delegato ad emanare, entro 180 giorni dalla entrata in vigore della legge delega, “d’intesa con le parti sociali” uno o più decreti legislativi,
che si occupino di estendere a tutti i regimi pensionistici le nuove norme, tenendo conto “ delle obiettive peculiarità ed esigenze dei settori di attività”; inoltre deve prevedere un regime speciale per i lavoratori che effettuano lavori usuranti e deve prevedere maggiori benefici agevolativi per le lavoratrici madri. Non si dice nulla di più: anche in questo caso il Governo dimentica che i principi e criteri direttivi di una delega dovrebbero essere molto più ampi e precisi.
IL terzo comma dell’articolo 1-ter è, poi, quello che contiene la sfida al Sindacato. In sostanza, infatti, il Governo afferma che prenderà in considerazione eventuali proposte alternative presentate dal Sindacato, sempre che tali proposte rispettino gli obiettivi economici indicati dal Governo (12 miliardi di euro, 1% di PIL). In presenza di tali proposte il Governo sarà delegato ad emanare decreti legislativi tesi a:
1. assicurare effetti finanziari equivalenti rispetto a quelli indicati dal Governo;
2. estendere le nuove norme a tutti i regimi pensionistici nel rispetto delle peculiarità ed esigenze di ogni settore di attività;
3. prevedere disposizioni particolari per i lavori usuranti, previa individuazione degli stessi d’intesa con le parti sociali;
4. confermare in ogni caso l’accesso al pensionamento per i lavoratori precoci (coloro che hanno almeno un anno di contributi versato tra i 14 ed i 19 anni) a 40 anni di anzianità contributiva!! Che vuol dire? Così come è scritta la norma afferma che per i lavoratori precoci sarà sempre e comunque possibile andare in pensione di anzianità con 40 anni: cosa che di fatto anche con la nuova normativa è possibile per tutti i lavoratori. Che cosa nasconde questa norma? O meglio che cosa rivela? Sembra di capire che il Governo sia intenzionato ad innalzare ancora il requisito contributivo previsto per il diritto alla pensione di anzianità, portandolo magari a 42 anni e chissà se basta….
5. prevedere norme migliorative dei benefici attuali per le lavoratrici madri, d’intesa con le parti sociali.
Abbiamo già detto che tale comma appare demenziale e non crediamo che ci sia altro da aggiungere…
Le disposizione relative alle pensioni di anzianità si applicano anche alle Casse privatizzate dei liberi professionisti, i quali ovviamente sono già scesi sul piede di guerra, sostenendo come sempre la loro autonomia, rispetto alle modifiche che vengono introdotte nel sistema generale che si applica ai lavoratori dipendenti.
Art.1-quater Incentivi al posticipo al pensionamento
Per il periodo 2004 – 2007 per i lavoratori dipendenti del settore privato sono previsti incentivi di carattere retributivo e fiscale in caso di prolungamento dell’attività lavorativa con posticipo del diritto a pensione di anzianità.
Tali incentivi,secondo quanto affermato dal Governo, dovrebbero essere concessi fin dal 1 gennaio 2004. La cosa appare alquanto ardua: prima di tutto perché ancora non è dato sapere se sarà possibile approvare la legge delega sulla previdenza (vedi lettera scritta dal Presidente della Commissione Lavoro al Presidente del Senato) entro il 31 dicembre 2003, ma anche se ciò fosse possibile è abbastanza assurdo pensare che la nuova normativa possa decorrere dal 1 gennaio 2004 e ciò perché per ottenere gli incentivi il lavoratore è tenuto prima di tutto a chiedere la certificazione del diritto alla pensione di anzianità, con tutti i problemi che abbiamo già evidenziato. Solo dopo aver ottenuto tale certificazione, infatti, il lavoratore potrà rinunciare all’accredito della contribuzione obbligatoria e percepire in busta paga l’incentivo economico relativo al mancato versamento della contribuzione. Tale incentivo, inoltre, è per legge escluso da ogni tassazione. Che la data del 1 gennaio 2004 sia un vero e proprio bluff lo dimostra anche il fatto che è addirittura previsto nel testo dell’emendamento che per l’attuazione della nuova normativa relativa agli incentivi debba essere emesso un decreto interministeriale (Ministero del lavoro di concerto con il Ministero dell’economia) di cui, peraltro, non vengono indicati neanche i tempi di realizzazione.
Gli incentivi, inoltre, nonostante le affermazioni di rassicurazione del Governo, non si applicano ai pubblici dipendenti, per i quali si prevede soltanto la possibilità di una successiva eventuale applicazione “ in quanto compatibile” di tutta la delega previdenziale e degli incentivi, previo confronto con le parti sociali,le Regioni e gli enti locali,” tenuto conto della specificità dei singoli settori e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico”.
Come CGIL abbiamo già avuto modo di esprimere la nostra contrarietà rispetto alla normativa sugli incentivi proposta dal Governo, contrarietà che viene strumentalizzata dal Ministro del Lavoro che ci addita come coloro che vogliono privare i lavoratori di questo grande beneficio.
Per quanto ci riguarda noi sosteniamo, invece, di essere d’accordo con il sistema degli incentivi per agevolare il prolungamento dell’attività lavorativa, ma che gli incentivi stessi non debbano avere carattere retributivo o fiscale, dovendo, invece, andare ad incidere sul rendimento della prestazione pensionistica. Con la proposta del Governo, infatti, di fatto si legalizza e si legittima il lavoro nero e l’evasione fiscale (la norma di detassazione presenta peraltro anche dubbi di costituzionalità con riferimento all’art.
53 della nostra Costituzione), mettendo in discussione uno dei principi cardine su cui poggia tutto il nostro sistema previdenziale: a qualsiasi lavoro prestato a qualsiasi età deve corrispondere la relativa contribuzione. Se si intacca questo principio si rischia veramente di distruggere il sistema pubblico e di mettere a rischio il diritto alle prestazioni per tutti, giovani ed anziani. La nostra proposta, pertanto, è che i lavoratori che decidono di continuare a lavorare continuino a versare la contribuzione. Ciò comporterà un beneficio sia per il singolo lavoratore sia per tutto il sistema previdenziale che continuerà ad essere finanziato. Il lavoratore al momento in cui deciderà di andare in pensione avrà diritto per gli anni in cui ha proseguito l’attività lavorativa ad una maggiorazione della percentuale di calcolo. Poiché ogni anno di anzianità contributiva equivale al 2%, si possono ipotizzare varie fattispecie, con percentuale pari al 2,5%, 3%, 3,5%.
Tale forma di incentivazione, peraltro, ha già un precedente nel nostro sistema previdenziale ed è quello relativo alle lavoratrici che decidono volontariamente di continuare a lavorare dopo il 60 esimo anno di età. In tal caso la percentuale riconosciuta è pari al 2,5%.
Da alcune simulazioni che abbiano effettuato con la preziosa collaborazione dello SPI emerge che il lavoratore ci guadagna sempre e comunque rispetto alla proposta del Governo. D’altra parte lo stesso Presidente dell’INPS (allora Massimo Paci) dimostrò in Parlamento con tanto di dati pubblicati ed elaborati dall’istituto che, anche senza la maggiorazione del rendimento pensionistico da noi proposta, i lavoratori comunque ci guadagnano se continuano a versare la contribuzione: la percezione immediata dell’incentivo economico, infatti, può sembrare allettante ma di fatto significa poi la percezione di un trattamento pensionistico ridotto per tutti gli anni di godimento della pensione.
E’ da rilevare, inoltre, che nel testo dell’emendamento pubblicato non si riscontra la possibilità dichiarata più volte da Maroni, che sia il lavoratore a scegliere tra varie opzioni: percepire l’incentivo,continuare a versare la contribuzione, utilizzare l’incentivo per la previdenza complementare. Sarà rimasto tutto nella penna? o il testo stampato da Sole 24 ore non è ancora quello definitivo? Fa pensare il fatto che il testo dell’emendamento non sia ancora stato consegnato neppure al Parlamento.
Nel testo dell’articolo si chiarisce, inoltre, che l’importo della pensione spettante al lavoratore che ha percepito l’incentivo è quello che gli sarebbe spettato al momento del raggiungimento del diritto a pensione di anzianità, facendo salvi gli adeguamenti del trattamento pensionistico spettanti per effetto della rivalutazione automatica delle pensioni al costo della vita scattati nel periodo di posticipo del pensionamento.
E’ prevista entro il primo semestre del 2007 la verifica del sistema degli incentivi introdotto per valutarne l’impatto sulla sostenibilità finanziaria del sistema. In tale occasione il Governo (bontà sua) consulterà le parti sociali.
Sempre in questo articolo sono previste anche ulteriori deleghe da rilasciare al Governo in merito ai seguenti argomenti:
1. introduzione di un tetto massimo per tutti i trattamenti pensionistici a carico di qualsiasi cassa, gestione o fondo, ivi comprese le casse dei liberi professionisti. Visto che la norma parla di un tetto di 516 euro al giorno possiamo senz’altro affermare che la partita sarà del tutto residuale e che forse sarebbe bene discutere di cose più realistiche, dal momento che combattere i privilegi si può, ma bisogna avere il coraggio, la forza ed il rigore morale per farlo (ma di quale etica parla Tremonti?),
2. eliminare solo per il calcolo delle pensioni le disparità di trattamento ancora esistenti nelle varie gestioni pensionistiche. Ancora una volta quindi torna in ballo la questione dei pubblici dipendenti, per la quale abbiamo già manifestato tutta la nostra contrarietà. Dietro tutta la vicenda potrebbe però nascondersi anche qualcosa di ancora più insidioso e cioè la modifica generalizzata per tutti i lavoratori dipendenti del sistema di calcolo della pensione! Da una serie di simulazioni che abbiamo fatto, con la preziosa collaborazione dell’INCA, sulla varie ipotesi circolate sulla stampa di un possibile sistema unico di calcolo delle prestazioni emerge con evidenza che ciò comporterebbe pesanti penalizzazioni per tutti i lavoratori;
3. prevedere benefici sulla contribuzione figurativa per famiglie che presentano situazioni di disabilità riconosciute in base all’attuale normativa (art.art.3, comma 3, della legge 104/1992) in caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto part-time. Anche in questo caso la norma appare scritta con i piedi, dal momento che nella fattispecie bisognerebbe non parlare di famiglie, ma di persone e bisognerebbe anche quantificare che cosa significa benefici sulla contribuzione figurativa: Nel caso in cui una lavoratrice o un lavoratore decidano di trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time per dedicarsi alla cura di un disabile facente parte del proprio nucleo familiare dovrebbe essere prevista la completa copertura figurativa, come se quella lavoratrice o quel lavoratore continuassero a lavorare a tempo pieno. Speriamo che sia questo quello che intendeva dire il Governo.
Legge finanziaria 2004 e decreto legge 269 del 30 settembre 2003
Nella finanziaria ci sono solo due articoli che si occupano di previdenza:
o uno si riferisce (art.15) alle somme che lo Stato deve ogni anno trasferire all’INPS per coprire (almeno in parte) le spese di carattere assistenziale sostenute dall’Istituto (quest’anno la somma che viene trasferita all’INPS è pari a 694,66 milioni di euro ). Diciamo almeno in parte dal momento che tutti sappiamo che sono ancora molti gli oneri di carattere assistenziale che, invece, di far carico allo Stato gravano direttamente sul bilancio dell’INPS;
o l’altro (art.16) che istituisce il famoso contributo di solidarietà del 2% per le pensioni di importo pari o superiore a 516 euro al giorno (!): con tale contributo di solidarietà il Governo finanzierà il reddito di ultima istanza.
Nel decreto legge varato dal Consiglio dei Ministri il 29 settembre scorso (in vigore dal 2 ottobre) molte sono invece le norme di carattere previdenziale.
Rientra nella solita superficialità e faciloneria,l’annuncio che il Governo ha già fatto di voler modificare alcuni articoli del decreto: è mai possibile che serietà e competenza professionale siano completamente sconosciuti a questo Governo? Che quello che viene affermato il giorno prima con tracotanza ed arroganza venga messo in discussione il giorno dopo come se nulla fosse? Ma si rendono conto questi signori che stanno giocando con i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e che su una materia così delicata e complessa non si può e non si deve essere improvvisare?
Nel decreto legge, a sorpresa, e senza alcun confronto con i sindacati, sono stati praticamente cancellati (articolo 47) i diritti dei lavoratori esposti all’amianto (è stato ridotto il coefficiente di maggiorazione da 1,5 a 1,25 e la sua validità è stata limitata ai fini del solo calcolo della pensione; è stata ridotta la platea dei beneficiari, limitandola ai soli iscritti all’INAIL, con l’esclusione, quindi, dei ferrovieri, dei marittimi e di tutti i pubblici dipendenti; sono stati messi in discussione, con evidenti elementi di incostituzionalità, diritti già acquisiti dai lavoratori, dal momento che tutti, anche coloro che avevano già ottenuto il riconoscimento dell’esposizione all’amianto da parte dell’INAIL, sono costretti a ripresentare le domande – entro il termine perentorio di 180 giorni dall’emanazione del decreto interministeriale che dovrebbe regolare le procedure per l’applicazione della normativa più restrittiva - per il riconoscimento dell’esposizione all’amianto occorre, inoltre, dimostrare di essere stati esposti per almeno 10 anni all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/ litro come valore medio per otto ore al giorno).
La mobilitazione dei lavoratori sembra aver portato già a qualche risultato, visto che il Governo ha annunciato proprio sull’amianto la presentazione di un emendamento. Che cosa abbia in testa questo Governo non è dato sapere: sta di fatto che la norma sull’amianto non può soltanto essere emendata, deve essere cancellata: il Governo non può e non deve fare cassa sulla pelle delle persone!
Sempre nel decreto legge, sono previsti (art.45) gli aumenti contributivi per i Co.Co.Co. (parificazione della contribuzione a quella dei commercianti) e l’obbligo dell’assicurazione IVS (invalidità, vecchiaia e superstiti) per gli associati in partecipazione (art.43) con quote ripartite: norme che erano nelle legge delega e che evidentemente sono state anticipate nel decreto per la solita motivazione, visto che si parla solo di aumento della contribuzione senza prevedere sia per i Co.Co.Co sia per gli associati in partecipazione analoga parificazione per il calcolo delle pensione all’aliquota di computo prevista per i commercianti (20%). Nulla si dice, inoltre, in merito all’estensione a questi lavoratori di altri diritti previdenziali ! E’ da rilevare inoltre, per quanto riguarda gli associati in partecipazione che si prevede la stessa misura di contribuzione prevista per i cococo ma vengono cambiate le percentuali di contribuzione a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro ( 55% a carico dei datori di lavoro, 45% a carico dei lavoratori), con un aumento della contribuzione a carico dei lavoratori!
Un altro articolo (il 44) contiene poi di tutto un po’in materia previdenziale: un vero e proprio spezzatino.Tale articolo comprende, infatti: modifiche alle agevolazioni contributive per i lavoratori agricoli, norme di interpretazione autentica sulla CIG, modifiche relative a norme di carattere processuale, norme per contrastare il lavoro sommerso e l’evasione contributiva, norme relative alla trasmissione telematica dei dati retributivi all’INPS e all’INPDAP (con decorrenza dal 2005!), fino ad arrivare all’iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria, a decorrere dal 1 gennaio 2004, dei produttori di 3° e 4° gruppo degli agenti e produttori di assicurazione, specificando che nei confronti di questi soggetti non trova applicazione il minimale retributivo ai fini del versamento della contribuzione e che indipendentemente dall’anzianità contributiva posseduta dai singoli lavoratori nei confronti di questi soggetti si applica esclusivamente il sistema di calcolo contributivo!
Nel medesimo decreto legge sono poi previste anche norme restrittive per le prestazioni di carattere assistenziale relative all’invalidità civile (art.42).
Anche in questo caso si tratta di misure diverse e caotiche che mirano solo a restringere i diritti dei cittadini disabili,
senza neanche una lontana idea di un vero progetto riformatore. Una cosa appare estremamente chiara: è il Ministero dell’Economia che dirige tutto, espropriando delle sue competenze il Ministero del Welfare!
Non si riesce a capire, infatti, perché l’atto introduttivo del giudizio dei procedimenti relativi all’invalidità civile, cecità, sordomutismo eccetera, se attivati ai fini al collocamento obbligatorio, debbano essere notificati anche al Ministero dell’Economia!
Vengono, inoltre, eliminati per qualsiasi richiesta di qualsiasi prestazione i ricorsi amministrativi e viene previsto che l’azione giudiziaria debba essere proposta a pena di decadenza entro 6 mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento amministrativo: una vera e propria assurdità!
Il problema del contenzioso non può né deve risolversi limitando i diritti delle persone: l’eliminazione del contenzioso amministrativo, che dovrebbe costituire un filtro rispetto all’azione giudiziaria, appare solo come un modo per inibire alle persone il diritto di ottenere “prima” quello che gli viene negato, costringendole all’azione giudiziaria, che peraltro, deve essere fatta entro tempi strettissimi, pena l’impossibilità di poter mai più contestare il provvedimento.
Più che un modo per ridurre il contenzioso, questo sembra un modo per aggravare la già tanto pesante situazione della nostra giustizia e soprattutto un modo per ridurre i diritti delle persone!
Vengono, altresì, previste verifiche reddituali e verifiche sanitarie dei requisiti , per le quali, guarda caso il Governo è anche riuscito a trovare risorse da stanziare (2 milioni di euro nel 2004 e 10 milioni di euro nel 2005).
Vengono stabiliti limiti di reddito oltre i quali (si tratta all’incirca di 19000 euro, con riferimento al reddito familiare) i cittadini saranno tenuti al pagamento delle spese, delle competenze e degli onorari processuali in caso di perdita della causa per ottenere il diritto a prestazioni di carattere previdenziale o assistenziale. A tale riguardo, ricordiamo che la Corte Costituzionale nei suoi numerosi pronunciamenti in merito ha sempre ritenuto che l’art.152 delle disposizioni attuative del codice civile fosse una garanzia per l’interesse ad agire del cittadino e del lavoratore nei confronti degli enti previdenziali ed assistenziali. In sostanza, secondo la Corte, tale articolo garantiva la parità di condizioni tra i soggetti in campo: nell’ultimo pronunciamento la Corte aveva altresì affermato che si sarebbe potuto inserire un limite di reddito ma solo se questo fosse stato creato per i soggetti “abbienti”. www.cgil.it/welfare/
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