CGIL-CISL-UIL e Organizzazioni Sindacali degli inquilini SUNIA-SICET-UNIAT-UNIONE INQUILINI-CONIA 

CASE POPOLARI, ANCORA UNA RIFORMA SBAGLIATA E DISCRIMINATORIA

Regione Lombardia cambia tutte le regole sull'assegnazione, la gestione e i canoni


MANIFESTAZIONE martedì 1 dicembre, alle 16 davanti al Consiglio Regionale  » scarica il volantino

Milano, 6.11.2015. La Giunta Regionale delibera oggi il suo progetto di legge per la riforma dell'edilizia residenziale pubblica che è un rifacimento completo del Testo Unico del 2009, già in parte riformato dalla legge sulla riorganizzazione delle ALER nel 2013.
La valutazione complessiva del sindacato è che questa riforma non risolve i problemi e stravolge lefinalità sociali e di servizio dell'edilizia pubblica.
CGIL-CISL-UIL insieme alle Organizzazioni Sindacali degli inquilini SUNIA-SICET-UNIAT-UNIONE INQUILINI-CONIA lombarde chiedono a Regione Lombardia la modifica sostanziale del progetto di legge in grado di garantire equità sociale, di tutela dei diritti delle persone e di qualità del servizio, dando strutturalità alla leva finanziaria su programmi di recupero edilizio, nuova costruzione e riqualificazione da destinare al potenziamento dell'edilizia pubblica e sociale.

I motivi del nostro giudizio critico si possono riassumere in cinque punti:
1. l’apertura alla gestione delle case popolari ai privati, senza aver individuato in modo certo le regole di trasparenza, le procedure di affidamento, i requisiti di qualità ed efficacia del servizio.

2. la conduzione degli accessi particolarmente discriminatoria verso i poveri e i migranti con meccanismi sbagliati di assegnazione degli alloggi, e per alcuni aspetti anche illegittimi, come la norma sui 10 anni di residenza in Lombardia: una norma di analogo contenuto (8 anni di residenza) della Regione Valle d'Aosta è già stata cassata dalla Corte Costituzionale nel 2014 (sentenza n. 168).
Sempre rispetto alla discriminazione, sono previste addirittura vere e proprie "quote d'ingresso" per limitare la quantità di alloggi assegnabili alle famiglie in condizioni di disagio o indigenza. Sono quote discriminatorie poste a salvaguardia non tanto della risposta al bisogno, quanto ai ricavi dei gestori pubblici o privati. Per le famiglie in condizioni di povertà che nei limiti della quota d'ingresso hanno avuto l'assegnazione dell'alloggio, la norma trasferisce ai Servizi sociali compiti e spesa per misure assistenziali che, a causa dei continui tagli di bilancio non potranno sostenere. Si tratta di una norma, che pone seri problemi anche dal lato della risposta alla reale domanda abitativa, infatti le famiglie con grave disagio economico sono in gran parte nelle graduatorie per l'assegnazione di una casa popolare in Lombardia. Ad esempio, sul totale delle domande in graduatoria, circa 60.000 nuclei familiari su base regionale, il 54% hanno un indice di situazione economica fino a € 7.000.

3. si riduce la disponibilità di alloggi assegnabili a canone sociale, peggiorando la gestione della domanda abitativa nel territorio. Questa difficoltà non dipende dall'asserita rigidità delle norme vigenti, ma dal fatto che non c'è offerta accessibile e, soprattutto, manca l'offerta pubblica. 

Nonostante ciò il progetto di riforma:
• prosegue la fallimentare politica della vendita degli alloggi;
• amplia la possibilità di distogliere grosse quote di edilizia pubblica per destinare gli alloggi a gestioni più redditizie;
• abolisce le norme che consentivano ai Comuni di anticipare l'assegnazione in caso di sfratto in esecuzione o altra grave emergenza, per sostituirle con risposte abitative precarie (i c.d. servizi abitativi transitori), che graverebbero in ogni caso sulla disponibilità di alloggi pubblici.

La riforma consentirebbe di distogliere dalle finalità d'istituto ingente patrimonio, potenzialmente fino a circa un terzo del totale. Infatti, sulle 155.000 case popolari in regione (Comuni e ALER), gli alloggi potenzialmente vendibili con la riforma (15%) sarebbero circa 26.000, a questi si aggiungono gli alloggi inseribili nei piani di valorizzazione (5%) da locare con tipologie di canone diverse (e maggiori) dal canone sociale, circa 7.700. Infine ci sono gli alloggi (vuoti o sfitti) che Comuni e ALER possono togliere dalla disponibilità degli alloggi assegnabili a canone sociale per ridestinarli a servizi abitativi transitori, circa 15.500. 

4. si abolisce il principio e i criteri di legge sul canone sociale, trasferendo a un successivo regolamento deciso dalla Giunta il compito di fissare e aggiornare i nuovi canoni. Il nuovo regolamento, stante il profilo della norma che verrebbe introdotta con la riforma, non sarebbe fatto per correggere gli eccessi e gli errori della precedente legge, adeguando gli affitti alle obiettive e ridotte capacità economiche degli inquilini, bensì per garantire con nuovi aumenti la copertura ditutti i costi delle ALER, comprese tasse e manutenzione straordinaria, rendendo poco efficace e insufficiente anche l'intervento di solidarietà previsto con risorse stanziate dalla Regione. Equilibrio di bilancio assolutamente sostenibile, ma con risorse che non possono fare capo solamente agli inquilini.

5. Non si prevedono impegni strutturali, certi e continuativi, sul finanziamento dell'edilizia pubblica, per garantire il buon funzionamento del servizio, la manutenzione programmata, e gliinvestimenti per la riqualificazione dei quartieri degradati e per nuove case popolari. L'impegno percompensare i gestori dei mancati ricavi per morosità incolpevole sono insufficienti, mentre ifinanziamenti per i programmi di recupero degli immobili sono sempre le stesse risorse trovate conil precedente assestamento di bilancio, non si tratta quindi di risorse nuove, e in ogni caso non hanno una valenza strutturale. 

Con questa riforma avremmo ancora nel complesso una gestione dell’edilizia pubblica in condizionidi disequilibrio finanziario, nonostante tutti gli sforzi per spostare l’accesso e l’uso degli alloggi suservizi di maggiore e più sicuro ricavo per i gestori, selezionando un’utenza meno svantaggiata, masi avrebbe anche un netto peggioramento della gestione dell’emergenza abitativa. Perché, stante lavigente legislazione sulle locazioni private, nessuna delle innovative misure di contrasto allasituazione degli sfratti e alla diffusa inaccessibilità al mercato dell'affitto può costituire una credibilealternativa all'offerta di un alloggio pubblico.

Va anche detto che lo stato di indebitamento delle ALER, a partire da ALER Milano, è di tale entità che nessuno degli stanziamenti fino ad ora previsti dalla Regione ha la consistenza sufficiente per imprimere alla crisi finanziaria del sistema di gestione una concreta prospettiva d'uscita. 

Stante il fatto che le leve dei piani di risanamento di ALER non forniscono riscontri positivi sulla possibilità di riuscita delle vendite nei tempi e nelle quantità previste. E, inoltre, anche dal lato della difficoltà di pagamento delle famiglie, fatti tutti i controlli e valutati i casi di dimostrata morosità incolpevole, gli stanziamenti regionali previsti (5 milioni nel 2016, 16 milioni nel 2017 e 20.000 nel 2018) non basterebbero nemmeno per gli aiuti necessari alla situazione dell'ALER di Milano.

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