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Diritto alla casa: lettera aperta di cgil cisl uil lombardiaCGIL CISL UIL LOMBARDIA
LETTERA APERTA
AL CARDINALE ARCIVESCOVO DI MILANO
AI VESCOVI DELLA LOMBARDIA
ALL’UPL
ALL’ANCI LOMBARDIA
ALLE ASSOCIAZIONI IMPRENDITORIALI
COSTITUENTI IL PATTO PER LO SVILUPPO
ALL’ANCE LOMBARDIA – CENTREDIL
AL RETTORE DEL POLITECNICO
AL RETTORE DELL’UNIVERSITÀ STATALE
AL RETTORE DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA
AL RETTORE DELL’UNIVERSITÀ BOCCONI
ALLE CENTRALI COOPERATIVE
ALLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO
1. La “questione delle abitazioni”, è oggi lontana dall’essere risolta, anche in realtà ricche come la Lombardia.
A partire dagli anni ’70, in tutti i Paesi industriali e specialmente nelle aree metropolitane – dove maggiori sono i valori di rendita – la questione abitativa tende anzi, per effetto dei processi di trasformazione socioeconomica, a diventare un problema sociale sempre più grave, anche se tarda il riconoscimento di tale gravità, quando non la si considera con indifferenza o fastidio. Da anni, il nodo del risanamento delle periferie urbane degradate è diventato così il tema principale degli indirizzi europei in materia di governo del territorio.
2. In Italia, nell’ultimo decennio, dopo la liberalizzazione avviata nel 1992, il prezzo degli affitti è aumentato di oltre il 200%, seguendo i prezzi di compravendita, mentre ben diversa è stata la dinamica dei redditi da lavoro dipendente e pensione.
Il crescente divario tra costo-casa e reddito spendibile, da un lato, concentra la domanda abitativa insoddisfatta ai livelli più bassi della scala sociale; dall’altro, estende il disagio ben oltre i settori della domanda marginale e svantaggiata, comprendendo anche strati una volta capaci di soddisfare il bisogno casa in modo autonomo, e che oggi sono sospinti nell’area della vulnerabilità e del rischio abitativo.
Nel settore dell’affitto privato sono così rimaste quasi esclusivamente le famiglie con più basso reddito, per oltre la metà concentrate nelle aree metropolitane e del tutto escluse dall’attuale offerta di mercato. Gli sfratti – che continuano a minacciare in Lombardia oltre 25.000 famiglie –, in mancanza di alternative accessibili,
tendono a tradursi in processi di pura espulsione sociale e hanno già sostanzialmente svuotato il centro di Milano dalle famiglie povere, mentre la stessa sorte si profila per molti altri centri storici.
3. Tale condizione di crescente marginalizzazione ed esclusione abitativa, dovrebbe vedere un rafforzamento delle politiche pubbliche di protezione sociale. Assistiamo invece – in un Paese già caratterizzato da un offerta di alloggi pubblici di molte volte inferiore a quella dei maggiori Paesi europei – all’assenza di programmi a tutti i livelli, al taglio delle risorse – dalla fine delle GESCAL alla riduzione del Fondo per il sostegno all’affitto – al degrado e alla svendita degli alloggi pubblici.
4. In tale condizione, la Regione Lombardia, dopo aver avviato un positivo processo di riforma, basato sul confronto con le parti sociali, e che ha visto l’approvazione del primo Piano regionale per l’edilizia residenziale pubblica (ERP) con vasti consensi, ha bruscamente invertito la rotta.
Assistiamo così all’abbandono, da parte della Giunta regionale, di ogni ipotesi di riforma; mentre in Consiglio si lavora alacremente a sovvertire le finalità sociali dell’edilizia pubblica.
5. La Giunta, da settembre ha anche cancellato il tavolo di confronto con i sindacati – nonostante la disponibilità sindacale a concordare aumenti ragionevoli dei canoni – e ha lasciata mano libera alle ALER. La Regione, tuttavia, non può dismettere – specie dopo la riforma del Titolo V della Costituzione – la responsabilità istituzionale e l’obbligo giuridico di fissare criteri uniformi di determinazione del canone sociale. Non può farlo, almeno, senza tradirne la finalità pubblica, e senza ledere i principi costituzionali di ragionevolezza dell’azione amministrativa e d’uguaglianza dei cittadini.
6. Quanto al Consiglio, dopo la recente LR 27/03 che gliene ha confermato la competenza, è oggi impegnato ad esaminare il Regolamento per l’assegnazione degli alloggi di ERP, già approvata dalla Giunta regionale e oggetto d’intesa con il sindacato confederale.
Gli orientamenti che sembrano prevalere sono motivo, però, di grave preoccupazione.
Una parte significativa delle forze di maggioranza, sconfessando la stessa Giunta, ha infatti preteso che il testo a suo tempo concordato sia modificato secondo i seguenti,
inaccettabili criteri:
§ eliminazione dei punteggi legati al disagio abitativo;
§ incremento del punteggio per l’anzianità di residenza in Lombardia;
§ cancellazione della facoltà dei Comuni di regolarizzare le situazioni anche di disagio più grave.
In termini più espliciti, si vorrebbe:
§ escludere dai criteri regolativi di un servizio abitativo - istituito da oltre 100 anni per assicurare la casa ai lavoratori meno abbienti – proprio le situazioni più gravi, perché l’attuale composizione del disagio abitativo più acuto vede una rilevante presenza di lavoratori immigrati;
§ peggiorare ancora le condizioni esistenziali dei settori più deboli del lavoro, premiando l’anzianità di residenza, visto che il disagio abitativo è tipicamente più grave e diffuso nella popolazione di più recente immigrazione (non solo straniera), e costituisce, insieme ai bassi salari, uno dei principali ostacoli al suo inserimento sociale;
§ limitare l’autonomia dei Comuni, al fine di stigmatizzare il disagio.
Nella civile Lombardia vi sono, insomma, forze politiche che, dato che la scarsità dell’offerta riesce oggi a dare un alloggio sociale solo alle famiglie più gravemente disagiate, pensano di risolvere il problema abrogando… le graduatorie di disagio.
In altri termini, forze che propongono non soltanto d’ignorare la polarizzazione sociale indotta dai processi globali di deregolazione produttiva e terziarizzazione urbana, ma piuttosto di esasperarla, per poi strumentalizzare l’esasperazione al fine di blindare il bunker della città benestante e rendere più impietosi i processi di ghettizzazione ed esclusione sociale.
7. La principale e più grave “irregolarità”, invece, è che, nella ricca Lombardia, i bandi d’assegnazione della case popolari riescano a soddisfare a malapena il 3 o 4% delle famiglie aventi titolo. E che molti Comuni, a cominciare da Milano, da anni fatichino a spendere i soldi trattenuti ai lavoratori lombardi per le finalità abitative per cui sono stati loro trattenuti.
Pensare di trattare con metodi solo coercitivi la diffusa insicurezza sociale, prodotta dalla sistematica negazioni dei più elementari diritti di cittadinanza, significa voler imbarbarire la civile convivenza, e alimentare forme sempre più esasperate di conflitto sociale.
8. CGIL-CISL-UIL regionali ritengono che i problemi del disagio abitativo, come quelli della riqualificazione delle periferie degradate e in generale i problemi di rilevanza sociale, siano da affrontarsi con il metodo del confronto e dell’intesa tra tutti i soggetti sociali interessati.
Ritengono, ad esempio, che, dopo aver chiuso le fabbriche, non si possano considerare le aree dimesse e gli stessi (ex)quartieri operai solo come aree da liberare per la speculazione immobiliare, con le vie più spicce; ma che siano piuttosto da definirsi, secondo gli indirizzi europei, processi di programmazione partecipata e d’accompagnamento sociale.
9. Perché sia possibile riaprire utilmente la strada del confronto, è prima necessario, però, che siano sconfitte posizioni così apertamente antisociali e discriminatorie, indegne della tradizione d’accoglienza che ha sempre caratterizzato la Lombardia.
Da parte loro, CGIL-CISL-UIL regionali hanno quindi richiesto il pieno rispetto degli accordi a suo tempo sottoscritti; e che l’esame in Consiglio del Regolamento assegnazioni – fissato per il 27 p.v. – sia rinviato per aprire un più ampio confronto; ottenendo solo un breve rinvio, ma finora nessuna sostanziale modifica delle scelte assunte.
Ritengono in ogni caso che, su un tema di tale rilevanza sociale, sia necessario e urgente che tutti i soggetti, sociali, economici e istituzionali – che credono nello sviluppo di una società aperta ed equa, solidale e democratica; o più semplicemente ritengono che, per lavorare bene, occorre anche disporre d’una casa dignitosa – prendano posizione, per scongiurare il travisamento delle finalità sociali dell’ERP e per sostenere un più adeguato processo di riforma del servizio abitativo regionale, destinando a tale fine risorse sufficienti, riqualificando il patrimonio esistente, articolando l’offerta secondo la composizione sociale della domanda.
A questa presa di posizione le scriventi Segreterie intendono fare appello con questa lettera aperta, rendendosi finora disponibili ad ogni confronto ed iniziativa comune.
Per le segreterie regionali
Pino Vanacore, CGIL Lombardia
Franco Giorgi, CISL Lombardia
Vincenzo Fulghesu, UIL Lombardia
28 gennaio 2004
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