BRESCIA, I PERMESSI IMPOSSIBILI
da: www.corrieredellemigrazioni.it
6/4/2015
Da anni a Brescia è quasi impossibile per i lavoratori migranti ottenere il permesso di soggiorno e il suo rinnovo. Le richieste presentate in occasione della cosiddetta sanatoria-truffa del 2012 sono state respinte nel 78% dei casi – a fronte di una media nazionale del 20% – e Mario Morcone, Direttore del Dipartimento per le Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, ha ammesso che «una sproporzione del genere rispetto al contesto nazionale lascia davvero sconcertati». Questo accade a causa in un’applicazione della normativa difforme rispetto a tutte le altre questure e prefetture d’Italia. A Brescia viene richiesto che le domande riguardino i sei mesi precedenti il 2012, mentre nelle altre città vengono considerate prove precedenti. Qui forze dell’ordine e Ispettorato dopo aver interrogato i richiedenti (quasi sempre in assenza del servizio di interpretariato) convocano persino i datori di lavoro. Tar di Brescia e Consiglio di Stato hanno stabilito che deve essere la Prefettura ad occuparsi degli accertamenti, e non la Questura. Come però riportano lavoratori, avvocati e operatori dell’accoglienza, spesso a Brescia un errore o una testimonianza ritenuta imprecisa sono sufficienti per dichiarare l’insussistenza del lavoro e negare il permesso. Lo stesso accanimento colpisce pure le domande di rinnovo del permesso. La legge Bossi-Fini (n. 106 del 2002) impone un’occupazione stabile come condizione per l’immigrato che desideri rimanere in Italia. Chi perde il lavoro ha diritto per un anno ad un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione, ma con permesso scaduto o prossimo alla scadenza diventa quasi impossibile farsi assumere. Per anni in tutta Italia i rinnovi spesso sono arrivati con grave ritardo, e di frequente quando il permesso era già scaduto. Ora viene in molti casi rispettato il termine massimo di sessanta giorni, mentre a Brescia si attende anche più di un anno. Emesso un diniego, la Questura bresciana non ammette nessuna successiva circostanza (ad esempio un impiego trovato fuori tempo massimo), nonostante la legge lo imponga. Così i migranti non hanno altra scelta che spendere di tasca propria per fare ricorso al Tar, il quale accoglie meno della metà delle richieste. Senza dimenticare il costo per i contribuenti: secondo quanto riportato da alcuni quotidiani,
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