LA NOSTRA FRONTIERA  di Norma Rangeri
Il Manifesto, 29 agosto 2015
Come muore un bambino asfissiato dentro un Tir? In attesa di cambiare il mondo e mettere fine alle guerre post-coloniali dell'Occidente e a quelle che ora combattono le pretro-monarchie in Medio Oriente, dovremmo ingaggiare una guerra di resistenza, che già ci coinvolge tutti: l'assuefazione alle stragi quotidiane dei migranti.
Il rischio di digerire sempre più rapidamente le notizie che ogni giorno la televisione porta nei nostri tinelli è fortissimo. Il rullo mediatico macina i morti a pranzo e a cena e, lo sappiamo, l'abitudine è capace di rendere sopportabili cose spaventose. Del resto bastava sfogliare i giornali di ieri per vedere che l'eccitazione della grande stampa era tutta per la "questione romana", mentre le decine di morti asfissiati sul Tir che trasportava uomini, donne e bambini dall'Ungheria all'Austria faticava a guadagnare i grandi titoli di prima pagine. Perfino giornali progressisti e sempre in prima linea contro le malefatte della casta, relegavano la strage del camion in poche righe. Naturalmente con le eccezioni del caso, a confermare la regola, e fatti salvi i giornali della destra che contro i migranti sparano titoli forcaioli per lucrare qualche copia lisciando il pelo ai peggiori sentimenti xenofobi e razzisti di lettori e elettori.
Ma l'informazione ai tempi della rete può anche essere l'antidoto al prevalere di assuefazione e abitudine. Come dimostra il caso dell'attivista islandese, promotore di una raccogliere fondi a favore di un uomo, rifugiato palestinese, proveniente dal campo profughi siriano di Yarmuk, a Damasco. Grazie all'immagine di Abdul che vende penne biro all'incrocio di una strada di Beirut con la figlioletta in braccio,
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