SUMMIT SULLE MIGRAZIONI A MALTA. UE-AFRICA. DIALOGO, MA SU STRADE DIVERSE
Si è consumato il capitolo finale di un dialogo franco e duro, con Bruxelles concentrata sulla sopravvivenza dell’accordo di Schengen e sulle politiche di rimpatrio dei migranti. E con i paesi africani a chiedere più investimenti per garantire opportunità ai propri giovani. Il nodo del Fondo.
di Michele Luppi (da La Valletta)
www.nigrizia .it venerdì 13 novembre 2015
«Preferibilmente volontari». Il Summit sulle migrazioni de La Valletta si è giocato tutto qui, in queste due parole, pronunciate dal presidente del consiglio europeo, Donald Tusk, nella conferenza stampa conclusiva della due giorni che ha visto riuniti, a Malta, i rappresentanti di 31 paesi europei (i 28 dell’Ue più Svizzera, Islanda e Norvegia) e 35 stati africani. «Noi faciliteremo i rimpatri, preferibilmente volontari – ha dichiarato Tusk – con un numero concreto di azioni, come la possibilità per gli ufficiali dell’immigrazione dei paesi africani di viaggiare verso l’Europa per aiutare nell’identificazione della nazionalità dei migranti irregolari».
Una dichiarazione che, pronunciata di fronte ai rappresentanti di governi autoritari come Gambia, Eritrea e Sudan, apre la strada a molti dubbi. Tra le azioni da intraprendere già nei primi mesi del 2016 è previsto, infatti, il coinvolgimento in questo tipo di operazioni di almeno dieci nazioni africane. Ma, al momento, non è chiaro quali governi, su base volontaria, decideranno di aderire.
Dialogo difficile, ma autentico
Visto da questa prospettiva il Summit de La Valletta potrebbe apparire come una sconfitta dell’Europa che deve rimandare a futuri accordi con i singoli paesi africani la possibilità di spingere sulla via dei rimpatri. Ma non si può guardare a questa due giorni concentrandosi solo sulla risoluzione finale e sul Piano d’Azione che declina una serie di misure da intraprendere entro la fine del 2016: tra queste il raddoppio delle scholarship per gli studenti africani in Europa all’interno del programma Erasmus Plus, il lancio di un progetto pilota per la lotta ai trafficanti di esseri umani in Niger e il rafforzamento dei Processi di Karthoum e Rabat.
Quello andato in scena a Malta è stato solo il capitolo finale di un dialogo franco e duro, come forse non lo era mai stato. L’Europa ha dimostrato di essere concentrata soprattutto sulla sopravvivenza dell’accordo di Schengen, messo a dura prova dalle recenti decisioni di alcuni governi di rialzare le barriere all’interno della stessa Unione.
Il presidente del Consiglio europeo Tusk non ha nascosto la sua preoccupazione: «Salvare Schengen è una corsa contro il tempo e noi siamo determinati a vincere questa corsa».
Una sfida che, per i leader europei, passa da una sola strada: rinforzare i confini esterni dell’Unione, perché solo così la circolazione interna potrà essere preservata.
Un fondo per l’Africa
Dall’altra parte c’è l’Africa che, come già al Summit di Bruxelles del 2014, chiede più investimenti per garantire opportunità ai propri giovani e offrire un’alternativa all’emigrazione. «L’Africa – ha spiegato Dlamini Zuma, presidente della Commissione dell'Unione africana – è vista principalmente come fonte di materie prime e come mercato per le merci europee, piuttosto che un continente per cui valga la pena investire per la sua industrializzazione.
Ma se non modernizziamo il nostro continente, non saremo capaci di creare i posti di lavoro necessari per la nostra giovane popolazione». A questo, stando alle dichiarazioni dei leader europei, dovrebbe servire il fondo da 1,9 miliardi di euro varato ieri a La Valletta. Un Trust Fund di Emergenza “per affrontare le cause alla radice delle migrazioni” di cui potranno beneficiare 23 paesi in tre aree prioritarie: il Sahel, il Corno d’Africa e il Nordafrica. Fondi, ha precisato il presidente Tusk, che vanno ad aggiungersi ai 20 miliardi che, ogni anno, l’Unione europea e i singoli paesi membri destinano al continente.
Critiche di paesi africani e ong
L’accoglienza da parte dei leader africani è stata però tiepida. Il fondo avrebbe potuto essere «più generosamente finanziato» ha detto diplomaticamente il presidente del Senegal e dell’ Ecowas (la Comunità economica dell’Africa Occidentale) Macky Sall. Ma a stridere non è solo l’ammontare della cifra, paragonata ai 3 miliardi offerti in un fondo analogo alla Turchia, ma la scarsa partecipazione volontaria dei paesi europei.
Accanto agli 1,8 miliardi messi a disposizione dall’Ue (con i fondi del Fondo Europeo per lo Sviluppo e dal budget della Commissione) è stata chiesta la contribuzione volontaria dei singoli governi. Il risultato è stato un impegno per soli 78 milioni di euro aggiuntivi. Tra i più generosi i Paesi Bassi con 15 milioni, seguiti da Italia e Belgio a 10 milioni. Critiche arrivano anche dal mondo delle Ong preoccupate di veder dirottate verso questo nuovo strumento risorse destinate alla cooperazione o che i fondi finiscano per finanziare operazioni di gestione delle migrazioni (rimpatri compresi) piuttosto che iniziative di sviluppo.
Si è chiuso così un nuovo capitolo del dialogo tra i due continenti, che verrà ripreso durante gli incontri dei Forum di Rabat e Khartoum, previsti entro la fine dell’anno. Perché, spente le luci dei riflettori, le diplomazie si sono già rimesse al lavoro. La preoccupazione è che continueranno a farlo su due strade diverse.