DECRETO FLUSSI 2014/2015: UN'OFFESA A MIGLIAIA DI LAVORATORI STRANIERI
di Valentina Itri, Ufficio Immigrazione Arci nazionale
Aveva il sapore di un piccolo e gradito regalo di Natale la pubblicazione del nuovo Decreto Flussi approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 11 dicembre e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2014. Sì, perché la possibilità di ingresso in Italia in modo regolare è strettamente e ipocritamente legata a quella che con decreto del Presidente del Consiglio viene definita la Programmazione dei flussi di ingresso dei lavoratori non comunitari. Quindi lecito sperare che, nonostante l’ultimo decennio abbia più volte dimostrato come il meccanismo delle quote lavoro sia inadeguato a rispondere alle evoluzioni dei flussi migratori nonché del mercato del lavoro, fosse arrivato il tempo per alcune migliaia di lavoratori stranieri di avere diritto a un documento.
Invece no, dei 17.850 posti per lavoratori non comunitari, non ce n’è nessuno per cittadini di Paesi a forte spinta migratoria che hanno la possibilità di ottenere un contratto di lavoro subordinato in Italia. Nessuno, perché non rientrano in questa categoria i 1000 posti per coloro che hanno seguito un corso propedeutico al lavoro in Italia, tantomeno i 100 posti per cittadini dell’Argentina, Brasile, Venezuela e Uruguay con almeno un parente italiano entro il terzo grado. Le condizioni messe tracciano un solco invalicabile per la maggior parte degli aventi diritto. Ovvero per tutte quelle persone, uomini e donne non comunitari,
che già conoscono il loro potenziale datore di lavoro e lo conoscono perché già hanno prestato la loro professionalità a nero non essendoci in Italia la possibilità di regolarizzare la propria posizione qualora si abbia un lavoro.
Addirittura più cospicue le quote per lavoro autonomo, probabilmente alla luce dei dati favorevoli pubblicati da Unioncamere nel 2013, secondo cui l’8,2% delle imprese è nelle mani di cittadini stranieri per la maggior parte extra Unione Europea. Sarebbe interessante sapere però quante di queste persone siano entrate con il progetto di aprire un’azienda e quante invece abbiano costruito la loro attività imprenditoriale solo dopo aver conosciuto il territorio e il mercato nel quale inserirla. Un riconoscimento importante che smentisce le propagandistiche teorie per cui l’apertura di partita iva da parte di stranieri sia strumentale all’ottenimento di un permesso. È importante la possibilità di conversione prevista, oltre 13mila quote, per chi attualmente ha un permesso di lavoro stagionale o studio o lungo soggiornate di altro paese dell’UE. Ma non basta. Anzi, ci sentiamo ancora più legittimati a chiedere con forza che venga rivista la normativa sugli ingressi e che intanto si dia una risposta concreta alle centinaia di migliaia di lavoratori non comunitari onesti che attualmente sono costretti dalla mediocrità delle nostre leggi a lavorare a nero e a vivere in condizioni di precarietà economica, sociale e relazionale.
ArciReport, 15 gennaio 201
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