«BOOM DEI MIGRANTI PREVEDIBILE, L'UE COLGA L'OCCASIONE»
AVVENIRE mercoledì 28/10/2015
Danile Zappala - Parigi
IL futuro demografico europeo e l'apporto dei migranti alle nostre società meritano un'approfondita riflessione politica su scala continentale, non solo le diatribe mediatiche innescate dall'attualità drammatica del Mediterraneo. E la posizione che da anni difende il francese Gérard-François Dumont, fra i più noti studiosi europei di demografia e geopolitica. Docente alla Sorbona e membro della Pontificia accademia delle scienze sociali, ha già ricoperto pure la prestigiosa carica di rettore-cancelliere e presiede l'associazione 'Population etavenir".
Quale punto metterebbe in cima all'ordine del giorno del dibattito europeo su migrazioni e demografia?
Da anni, l'Unione europea pubblica rapporti per mostrare che la situazione demografica non è buona, che occorre della popolazione attiva e dunque dell'immigrazione. Ma un simile ragionamento elude in genere il nodo delle politiche familiari insufficienti all'interno dell'Unione. Eppure, è un punto assolutamente fondamentale, in quanto all'origine del calo della fecondità e dell'inverno demografico. Inoltre, la necessità di nuova popolazione attiva non è uniforme nei vari Paesi. In alcuni, come la Germania, il problema si pone in modo serio. In altri, come la Francia, la popolazione attiva è molto più stabile. Il legame fra calo demografico e bisogno d'immigrazione meriterebbe dunque un dibattito molto più serio e approfondito. E in ogni caso, l'Europa non avrà un avvenire lasciando strada libera all'inverno demografico.
Come giudica la risposta dell'Unione europea alla crisi migratoria?
Queste migrazioni potevano certamente essere previste, soprattutto dai Paesi europei che in parte ne sono responsabili, avendo in particolare partecipato alla destabilizzazione della Libia e della Siria. In quest'ultimo Paese, il solo modo per evitare il perpetuarsi dell'esodo è che la popolazione ritrovi la fiducia nel ritorno della stabilità. In questo senso, nonostante le critiche di vari Paesi europei come la Francia, l'intervento russo può apportare un contributo. Inoltre, si può in parte comprendere la situazione politica scomoda di Paesi come Repubblica Ceca,
Slovacchia, Ungheria e Polonia, che ricevono l'esodo senza averne una responsabilità diretta. Sono oggi sorpreso dall'atteggiamento dell'Unione europea. Da una parte, certo, è un onore che l'Europa rispetti la Convenzione di Ginevra, accogliendo i profughi. Ma come attore politico, l'Europa dovrebbe pure agire sia sull e cause, contribuendo alla stabilità in Medio Oriente, sia sul fronte dell'integrazione delle popolazioni accolte. Due punti di cui invece si parla molto poco.
Si addita l'attuale mancanza di consenso e coordinamento fra i Paesi Ue. Che ne pensa?
Le regole di Schengen non sono più rispettate concretamente da diversi anni. E il paradosso è che la Commissione soprassiede spesso quando i Paesi non rispettano le regole di Schengen. Mentre, al contrario, critica certi Paesi che le rispettano. LEuropa è di fronte a un bivio: o le regole vengono cambiate, oppure si passa al loro rispetto sistematico, ma ciò implica la possibilità di far uscire da Schengen quei Paesi che non dimostrano di disporre dei mezzi per farle rispettare. Il vizio di partenza di questa situazione è di aver promosso l'allargamento senza tener conto delle realtà specifiche dei singoli Paesi.
Lei ha più volte denunciato i sofismi nel dibattito su migrazioni e demografia. Qual è il più temibile?
Accontentarsi di un approccio puramente quantitativo, senza tener conto delle realtà umane nella loro diversità. Due immigrati non sono mai identici, ad esempio riguardo agli appoggi nel Paese d'arrivo che possono garantire un inserimento nella società. Occorrerebbe un accompagnamento caso per caso. Accontentarsi di registrare il titolo di studio conseguito da un migrante è molto riduttivo. Oggi, il dibattito pubblico europeo su tali questioni è zeppo di posizioni ideologiche e inattendibili, ma ciò è dovuto pure al fatto che i governi non agiscono mai in modo preventivo, ma si limitano a reagire alle situazioni, così come si presentano di volta in volta. In fretta, i governi espongono argomenti per dare l'impressione all'opinione pubblica di padroneggiare la situazione, ma partendo in realtà spesso da diagnosi erronee.