SE LA CRISI ITALIANA PARLA STRANIERO
di Roberto Ciccarelli
Il Manifesto, 29 dicembre 2015
Rapporto Istat. I dati impietosi sull'integrazione dei migranti nel nostro mercato del lavoro: il costo più alto lo pagano loro. Tanto più alto è il titolo di studio tanto più rischia di escludere o di impedire l'accesso a un'occupazione. La crisi ha colpito i lavoratori stranieri più degli italiani. Chi ha resistito tra un part-time involontario e un contratto a termine di breve durata, oggi si ritrova intrappolato in un mercato del lavoro fatto di occupazioni poco qualificate e non corrispondenti al livello di conoscenze acquisite con una laurea.
Il rapporto Istat sull'integrazione degli stranieri nel mercato del lavoro italiano, pubblicato ieri, descrive un paese che comincia ad assumere un profilo più simile a quelli europei con storie di immigrazione consolidate, ma anche un mondo dove vige un'unica legge uguale per tutti: la precarietà e la sotto-occupazione.
Nel 2014 i lavoratori stranieri attivi tra i 15 e i 74 anni erano 2,3 milioni. La popolazione nata all'estero è stimata in 5 milioni 169 mila individui ed è aumentata del 58,8% dal 2008. Un aumento notevole dovuto anche alla quota dei nati all'estero che è "molto elevata per gli stranieri e i naturalizzati". Su questa realtà, in crescita, si è abbattuta la crisi.
Tra il 2008 e il 2014 la partecipazione alle attività lavorative degli stranieri, che è stata superiore tra gli stranieri rispetto a quella degli italiani, si è fermata, In sei anni il tasso di occupazione è sceso di 6,3 punti percentuali (-3,3 punti tra gli italiani), con una parallela crescita della disoccupazione (+7,1 punti rispetto a +5,2 per gli italiani) e dell'inattività. Questo non ha fermato le migrazioni, a dispetto di un lavoro povero e stagnante. Il 57% degli stranieri nati all'estero e un terzo dei naturalizzati cercano un'occupazione. Tra gli altri motivi sono quelli legati ai ricongiungimenti familiari.
La crisi ha prodotto gli effetti più negativi sui marocchini,
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