COSI L'EUROPA VOLTA PAGINA SULL'ASILO
www.lavoce.info, 11.09.15
Maurizio Ambrosini
Con il discorso di Juncker al Parlamento europeo, cambia radicalmente la politica sull’asilo dell’Unione. Il mutamento di rotta è guidato dalla Germania. Ma se l’Europa finalmente si muove, la partita è tutt’altro che chiusa, con almeno quattro nodi fondamentali che restano ancora da sciogliere.
Emozioni e decisioni politicheLe proposte presentate dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, annunciano una svolta nelle politiche europee dell’asilo. Permangono ambiguità, come il rafforzamento della sorveglianza ai confini mediante Frontex e una sospensione delle convenzioni di Dublino definita temporanea, ma il cambiamento di approccio è evidente. Ancora a maggio, governi e istituzioni europee non erano riusciti ad accordarsi sulla redistribuzione di 30mila richiedenti asilo e affermavano con enfasi che il mercato del lavoro continentale aveva bisogno soltanto di immigrati qualificati. La Germania ha guidato il cambiamento di rotta, imprimendo un segno nuovo alla sua leadership europea. Le immagini dell’accoglienza dei profughi tra gli applausi, accompagnati dall’Inno alla gioia, danno il senso di una politica che ha saputo finalmente raccogliere la sfida dei diritti umani, sintonizzandosi con la parte migliore della società civile. E questo accade in un paese in cui da gennaio a luglio si sono verificati 330 attacchi a centri di accoglienza per rifugiati. La spinta impressa alle varie fortezze erette dal mondo sviluppato è stata tale che persino l’Australia ha annunciato di voler accogliere un contingente di profughi siriani. Alcune anticipazioni di un nuovo orientamento della Germania erano già trapelate, con l’apertura ai profughi siriani. Ma l’accelerazione del cambiamento rimanda al rapporto tra mass media, emozioni e decisioni politiche. Le immagini del bimbo siriano morto in mare e delle famiglie di profughi in cammino nei Balcani hanno provocato un soprassalto di umanità, e forse di realismo prima in Germania e in Austria, poi nelle politiche europee. L’impressione è che i leader politici del Vecchio Continente abbiano colto il momento favorevole per prendere decisioni ormai mature, forse inevitabili: un raro istante in cui nelle opinioni pubbliche la pietà per le vittime e la solidarietà umana hanno preso il sopravvento sulle ansie xenofobe e sulle chiusure egoistiche. Nella stessa prospettiva può essere collocata l’improvvisa scoperta del deficit demografico europeo e del fabbisogno di forza lavoro. Anche in questo caso, una contingenza emotiva favorevole ha consentito di giustificare una scelta razionale.
Il dato singolare è semmai il ricorso ai profughi siriani, tra cui figurano anziani, bambini, casalinghe, adulti istruiti ma non facilmente riconvertibili, per far passare l’idea dell’apertura del mercato del lavoro verso nuovi immigrati. Il fatto è che i profughi, almeno in questo momento, sono più accetti all’opinione pubblica dei normali lavoratori.
Questioni ancora aperte
Certo, i nodi ancora da sciogliere non mancano. Se ne possono individuare almeno quattro. Il primo è politico. Alcuni paesi europei recalcitrano in modo clamoroso di fronte all’accoglienza dei profughi, con stili e motivazioni diverse: dai muri ungherese e bulgaro, all’isolazionismo danese, alle scelte autonome del Regno Unito, che finalmente si piega all’accoglienza, ma non segue Bruxelles. Un’Europa a due o tre velocità in materia di protezione dei diritti umani fondamentali appare un assurdo politico. In secondo luogo, va ribadito che le quote rappresentano un passo avanti, ma hanno un serio limite, antropologico e morale: non tengono conto delle aspirazioni dei richiedenti asilo. I rifugiati sono persone, non scarti imbarazzanti da suddividere in modo più o meno equo. Hanno conoscenze, legami e desideri che non necessariamente collimano con le destinazioni loro assegnate. Una volta inviati forzosamente in un determinato paese, potrebbero decidere di trasferirsi altrove. In questo caso perderebbero il diritto alla protezione umanitaria? Un terzo problema è quello di scongiurare rischiosi viaggi per mare, senza però impedire a chi fugge di raggiungere luoghi sicuri. La Caritas italiana ha già espresso delusione per la mancata apertura di canali umanitari. Le politiche di reinsediamento, di cui David Cameron si è fatto alfiere per non sottostare alle quote decise a Bruxelles, dovrebbero salire di priorità. Bisognerebbe cioè raccogliere le domande di asilo il più vicino possibile alle aree di crisi, esaminarle in tempi rapidi e, quando accette, provvedere a trasferire i profughi con regolari viaggi aerei. Il quarto nodo ci riguarda da vicino. Si riferisce alla prevedibile contropartita delle quote, ossia l’impegno a identificare e registrare i profughi al momento dello sbarco. Qui le incognite sono due: anzitutto, non è detto che gli esuli desiderino essere registrati nei luoghi di sbarco e forzarli appare discutibile. In secondo luogo, non si sa se passeranno e come funzioneranno le quote permanenti promesse: i profughi in eccedenza potrebbero rimanere a carico dei paesi di primo asilo. Insomma, l’Europa finalmente si muove, ma la partita è tutt’altro che chiusa. A questi primi passi, altri ne dovranno seguire.