|
|
AL VIA OGGI IL SESTO CONGRESSO TERRITORIALE DELLA CGIL DI BERGAMO.
LE PAROLE DEL SEGRETARIO BRESCIANI E LA PRESENTAZIONE DEI DATI PIÙ AGGIORNATI SULLA CRISI
Questa sera le conclusioni affidate alla segretaria nazionale Susanna Camusso
Bergamo, lunedì 1 marzo 2010
Si è aperto oggi pomeriggio con la lunga relazione introduttiva del segretario generale provinciale Luigi Bresciani il sesto Congresso Territoriale della CGIL di Bergamo. All’auditorium Sant’Alessandro di via Garibaldi a Bergamo, oggi e domani siederanno i 322 delegati che compongono la platea congressuale: 101 donne e 221 uomini.
Il Congresso provinciale di oggi fa parte del lungo percorso congressuale che avrà il suo culmine dal 5 all’8 maggio con il sedicesimo Congresso nazionale a Rimini. A livello provinciale, invece, per arrivare all’appuntamento di oggi si è passati attraverso 1.005 assemblee nei luoghi di lavoro e territoriali, coinvolgendo (informando e invitando) oltre 88mila iscritti, di cui 28.735 hanno espresso il loro voto (pari al 30.7% del totale degli sicritti). I voti validi sono stati 28.193: 22.031 per il documento 1 (Epifani) pari al 78.14%, mentre per il documento 2 (Moccia) 6.162, pari al 21.86%.
“I lavoratori sono con noi,” ha detto il segretario generale provinciale Luigi Bresciani nella sua relazione introduttiva, “li abbiamo sentiti nelle centinaia di assemblee di base che abbiamo fatto. La discussione è stata appassionata, si è votato. Una maggioranza forte, solida, indiscutibile, il 78%, ha votato a Bergamo per la mozione 1, di Epifani, in Lombardia il 77% e a livello nazionale l’83% si è espresso per la mozione 1. La linea della CGIL, di tutta la CGIL, è tracciata ed è quella indicata nel documento che ha raccolto a Bergamo e nel paese la stragrande maggioranza dei voti”.
Solo domani nel tardo pomeriggio l’assemblea congressuale voterà per eleggere il nuovo Comitato Direttivo (lo scorso Comitato era composto da 87 delegati. Se il numero resterà lo stesso, la suddivisione per appartenenti alle due mozioni sarà di 68 delegati per la mozione Epifani e 19 per quella Moccia). Sarà, a quel punto, il nuovo Comitato Direttivo ad eleggere il nuovo segretario generale provinciale della CGIL di Bergamo. Per quanto riguarda la segreteria, si prevede che la sua elezione non avverrà subito, ma entro il mese di aprile.
I lavori di oggi, cosa è successo
Ore 14.30 - Apertura del Congresso, Costituzione della Presidenza e Nomina delle Commissioni
Ore 15 - Relazione di apertura del Congresso: Luigi Bresciani, Segretario Generale uscente della CdLT di Bergamo
Interventi di saluto delle autorità, degli invitati e degli ospiti:
(Erano presenti in sala: il Prefetto Camillo Andreana, il sindaco di Bergamo Franco Tentorio, il presidente della provincia,
Ettore Pirovano, Ezio Locatelli, Salvo Parigi, Matteo Rossi, Maurizio Martina, Ferdinando Uliano, Giovanni Sanga, Marcello Saponato, Stefano Malandrini di Confindustria, Giuseppe Benigni, Mimma Pelleriti, Massimo Cortesi, Carlo Salvioni, Gino Gelmi).
Nel corso del pomeriggio sono intervenuti Ferdinando Piccinini, Segretario Generale CISL Bergamo e
Marco Tullio Cicerone, Segretario Generale UIL Bergamo
Sono intervenuti, portando il loro saluto, anche:
Maurizio Martina, Ezio Locatelli, Gino Gelmi, Salvo Parigi
Conclusioni affidate a Susanna Camusso della segreteria nazionale della CGIL
Ore 18.30- Sospensione lavori, insediamento e prima riunione delle Commissioni congressuali presso le sale della Camera del Lavoro di Bergamo
Cosa succederà domani, martedì 2 marzo
Ore 9 - Apertura del dibattito congressuale, interventi dei delegati
Ore 14- Pranzo - Pausa dei lavori
Ore 15 - Ripresa del dibattito congressuale, interventi dei delegati
Presso la Camera del Lavoro prosecuzione
dei lavori di Commissione
Ore 17 - Intervento di Elena Lattuada della segreteria CGIL Lombardia
A seguire votazioni dei documenti ed elezione degli Organismi dirigenti
Ore 19 - Conclusione dei lavori del Congresso
Il segretario generale provinciale Bresciani ha aperto il suo intervento mettendo subito in chiaro quale idea di CGIL è stata premiata dal voto dei lavoratori nelle assemblee di base e dai congressi di categoria e facendo una riflessione sulla società che oggi si è profilata:
“Nella mozione Epifani, quella che ha vinto, il tema dei diritti, della libertà e della difesa della costituzione è al primo posto. Per la CGIL è punto di discrimine la difesa del principio di uguaglianza, oggi messo in mora da politiche corporative, da egoismi territoriali, da impulsi razzisti, da un individualismo esasperato. La crisi acuisce il tema delle paure del diverso sulle quali cresce razzismo e xenofobia. Contrastare il razzismo significa contrastare l’idea di una società chiusa. Occorre invece affermare un modello di società aperta, sicura ma inclusiva, interetnica ed interculturale. Valore per noi irrinunciabile è quello della laicità dello stato messo in discussione dalle scelte di questo governo e dalle chiusure identitarie territoriali”.
La crisi è, come ormai da parecchi mesi, al centro di ogni iniziativa del sindacato: è stato così anche oggi. Bresciani ha affrontato il tema dicendo: “Il nostro congresso si svolge nel cuore della più grave crisi degli ultimi 60 anni che ha evidenziato che c’e’ un problema enorme di democrazia mondiale e di politica e governance globale. È lo scacco della politica come luogo di formazione dell’interesse generale e del bene comune a consentire alla tecnoeconomia di disegnare il mondo, senza trasparenza, con un’ opacità di poteri che non rispondono a nessuno del loro operato.
Dobbiamo leggere dall’enciclica “caritas in veritate” che serve un nuovo sistema di regole? Un’ autentica rivoluzione morale? Una nuova idea di umano, non disegnata solo dal mercato, più equa, più libera? Un progetto sociale fondato sulle pari opportunità e sull’emancipazione?
La destra ha cavalcato la deregulation e adesso con grande capacita’ tattica, ma senza visione strategica, ne’ cultura effettiva di governo, si inventano di volta in volta protezionisti, statalisti a seconda delle convenienze del momento.
Di seguito, in sintesi tutti gli argomenti di cui Bresciani ha parlato nella sua relazione
Il lavoro
Le vecchie categorie non esistono quasi più. Sono superate da una situazione che ha il suo volano nella mobilità estrema e anonima del capitale finanziario. Certo che la fabbrica c’e’ ancora, ma ha mutato profondamente il suo volto. Di grandi fabbriche ce ne sono sempre meno e il prodotto e’, in molti casi, costruito attraverso la segmentazione del lavoro. In Cina si fa un pezzo, in Guatemala un altro, in un terzo paese mettono insieme i pezzi, in un quarto si studia come venderlo e in un quinto viene venduto. Bisogna poi aggiungerne un sesto dove eventualmente e silenziosamente si collocano gli scarti eventualmente inquinanti.
Il 70% del lavoro e’ assorbito dai servizi in Usa e in Gb. Solo il 30% è attività produttiva di merci.
Milano ha già quel rapporto, a bergamo il manifatturiero che, solo qualche anno fa rappresentava ancora quasi il 50%, e’ sceso negli ultimi anni al 43-44%.
Quale è sempre stata la nostra logica tradizionale? Considerare il lavoro non produttivo come supporto del lavoro produttivo. Ciò che conta e’ la fabbrica, il lavoro operaio che fa, costruisce. Poi ci sono i colletti bianchi, che sono utili, ma solo in relazione ai primi.
Perché? Perché non sono loro che fanno le cose. Oggi la situazione si sta capovolgendo. Il lavoro cosiddetto improduttivo si espande, crea nuove occasioni, genera ricchezza.
Cosa è successo da noi, in questo ultimo anno?
Per tutto il 2008 e parte del 2009 le imprese, anche utilizzando gli ammortizzatori sociali, hanno comunque tenuto i lavoratori cercando di capire quanto tempo ancora occorreva per uscire dalla crisi;
Oggi non è più così. Le conseguenze sull’occupazione stanno diventando drammatiche e la crisi del manifatturiero sta avendo conseguenze sempre più pesanti per il sistema dei servizi, in particolare i servizi all’impresa.
Da una prima fase della crisi con massiccio utilizzo di cassa integrazione, siamo passati ad una seconda fase piena di incertezze, fermo di investimenti, chiusura di aziende, crisi di interi settori e aree territoriali.
L’Ires ci dice che le due aree del paese che perdono di più sono il sud e il nord ovest e che i livelli pre-crisi saranno raggiunti solo nel 2017 e nessuno può permettersi di aspettare fino ad allora
.
Le banche devono fare la loro parte. Le banche fanno ancora troppo poco. (…) Se le banche non erogano, le conseguenze sono la chiusura di aziende ed il licenziamento di migliaia di lavoratrici e lavoratori. Le banche ci rispondono che devono rispondere ai loro azionisti. No, in questo momento occorre rispondere al paese, non agli azionisti. Per due o tre anni si può anche decidere di non erogare alcun dividendo per aiutare di più il territorio, le imprese, le famiglie. In situazioni eccezionali occorrono scelte di natura eccezionale.
Come traduciamo il “no” ai licenziamenti
Non devono mancare le risorse agli ammortizzatori.
Aumentare gli importi, le famiglie non possono andare avanti mesi, anni, a 500-700 euro al mese;
E’ indispensabile superare rapidamente la fase degli ammortizzatori in deroga per i settori che non contribuiscono al fondo cig. Occorre arrivare ad un unico fondo presso l’Inps alimentato da tutte alle imprese di ogni settore e dimensione, per giungere ad un unico istituto di sostegno al reddito;
Serve il prolungamento della cigo da 52 a 104 settimane;
L’Inps deve erogare gli anticipi ai lavoratori per la cassa in deroga, la’ dove l’azienda non ce la fa, in tempi brevi;
I contratti di solidarietà vanno estesi e le associazioni imprenditoriali non devono rimanere neutrali ma incentivare l’utilizzo di questi strumenti;
Il governo deve dotarsi di una politica industriale e vincolare gli incentivi dati alle imprese con la salvaguardia dell’occupazione ed il mantenimento dei siti industriali;
Serve un approccio di sistema ai problemi: Sostenere le reti (impresa,terziario,università), Promuovere le reti di qualità, Rafforzare gli istituti di ricerca, Creare strutture che valutino seriamente i progetti.
Le imprese devono avere più attenzione al bilancio patrimoniale, alle persone e alla loro formazione, al futuro, a nuovi prodotti, all’innovazione.
Il nuovo modello contrattuale
La CGIL ribadisce la necessità di un modello contrattuale articolato su 2 livelli e si batte per la massima estensione della contrattazione integrativa di secondo livello, per sostenere una forte contrattazione territoriale, di sito, di filiera.
Ma qual è il dato politico dell’accordo sul nuovo modello contrattuale? Non certamente lo spostamento del baricentro della contrattazione nei luoghi di lavoro, nei territori. La contrattazione di secondo livello non si allarga. Dov’e’ la modernità, dov’e’ l’innovazione? Non c’e’.
Questo accordo non ha né la presenza della CGIL ne' il voto dei lavoratori, quindi e’ un accordo auto-referenziale.
Avevamo detto che quando si fosse passati da quell'accordo al rapporto con le categorie, dove il rapporto con i lavoratori non può essere eluso, questo problema sarebbe tornato e,
infatti, i rinnovi contrattuali degli alimentaristi, dei chimici, delle lavanderie, del cemento hanno dimostrato che e’ possibile un intesa ed il superamento dell’accordo separato.
È arrivato il tempo in cui misuriamo la rappresentatività di ogni organizzazione sindacale attraverso la verifica delle deleghe e il voto conseguito nelle elezioni delle Rsu.
Secondo, bisogna fare si che in tutti gli accordi sindacali e gli accordi di categoria i lavoratori possano e debbano avere l'ultima parola. Che e' anche il modo non solo di avere un sindacato pienamente democratico, ma e' anche il modo di superare i dissensi tra di noi quando ci sono.
Perché CISL e UIL hanno firmato l’accordo separato? Quale è la lettura che diamo? Non certo quella semplice e semplificante, ma non vera che “sono passati con il nemico”. Non ho mai creduto a queste sciocchezze.
Ritengo invece che vi siano delle valutazioni politiche diverse dalle nostre. CISL e UIL ritengono che i margini della contrattazione si sono ristretti, questo governo e’ forte, la crisi e’ devastante e quindi il terreno e’ quello soprattutto della bilateralità e della gestione congiunta dei servizi. Ma nei fatti non è così.
Welfare e libro bianco
In materia di lavoro i risultati dell’azione di governo sono tutti lì da vedere: meno diritti, meno tutele, più precarietà. Sacconi e’ astuto, sa bene che conviene agire in modo chirurgico, sistematico anziché lanciare proclami.
In meno di due anni, in silenzio, e’ riuscito quasi a smantellare quel protocollo sul welfare che il governo prodi aveva messo al centro della propria azione ed aveva ottenuto il si di 5 milioni di lavoratori e pensionati.
Questo governo vuole legare i diritti fondamentali della persona alla cittadinanza politica. E’ l’idea secondo la quale i “non cittadini” non sono soggetti di diritti e tutto ciò si estende anche alla fruibilità dell’insieme dei servizi del welfare territoriale. Questo messaggio e’ sbagliato.(…)
Il governo, pur omettendo di intervenire direttamente sull’art. 18 dello statuto dei lavoratori, con il disegno di legge 1167b, mira a svuotare dall’interno l’impianto normativo di tutela dei lavoratori.
Il risultato e’ quello di lasciare il lavoratore ancora più solo nella libera dinamica dei rapporti di forza con il datore di lavoro, cui viene attribuita la facoltà di deroghe peggiorative rispetto a leggi e contratti collettivi. (…)
C’è un’idea, un modello del rapporto tra stato e cittadini e lavoratori che dobbiamo contrastare. Per noi se lo stato sociale offre una buona scuola a tutti, un buon sistema ospedaliero eguale per tutti, si riducono le differenze. Questo e’ un punto centrale per affrontare il tema della disuguaglianza.
Abbiamo uno dei tassi di scolarizzazione più bassi d’Europa.
Perché? Perché c’e’ una selettività di classe sociale.
I giovani che provengono da famiglie meno favorite sono quelli che con maggiore difficoltà terminano gli studi. L’educazione e’ uno di quei beni dal cui possesso può dipendere la possibilità di una persona di realizzarsi come tale nella società, di disporre almeno di un minimo di chance per realizzare i propri progetti di vita.
L’educazione
Serve un ripensamento radicale dei modi di fare scuola. La privatizzazione non e’ certo la strada. Essa si basa sulla supposizione che un maggior potere di scelta da parte delle famiglie possa condurre ad un miglioramento della situazione. Questa idea non tiene conto che il modello educativo della famiglia non e’ meno in crisi di quello della scuola e sommare due debolezze non significa costruire una forza.
Una volta ogni tanto perché non ragioniamo sui fatti e non per slogan? I fatti sono che :
Non esiste un progetto di qualità dietro i tagli al finanziamento e al personale della scuola pubblica;
la competizione tra pubblico e privato in un settore delicato come quello dell’istruzione si sta traducendo nella ratifica di una società di ineguali che premia i forti e punisce i deboli;
non c’e’ una politica scolastica a livello nazionale e locale degna di un paese civile.
Riflettiamo sulle condizioni in cui versano i luoghi dell’istruzione. Che dire poi dello smarrimento di quei genitori del bambino disabile privato del sostegno, della rabbia dei docenti precari per anni e poi estromessi dal lavoro.
Io rimango ogni volta stupito della passione che anima chi lavora nella scuola pubblica italiana. La mandano avanti comunque, ma senza soldi, materiale didattico, laboratori, insegnanti di sostegno alla fine non c’è più la scuola e la posta in gioco è il futuro del paese.
In una lettera inviata alla FLC CGIL di Bergamo un’insegnante di ruolo nella nostra provincia ha parlato di orgoglio, l’orgoglio di una lavoratrice pubblica, l’orgoglio che devono avere tutti i lavoratori pubblici della sanità, dei comuni, della pubblica sicurezza, i magistrati che ogni giorno in una situazione di sempre maggiore difficoltà danno servizi, la loro professionalità, la loro passione per il bene pubblico.
La crisi a Bergamo
Il tessuto economico di questa provincia si caratterizza per una forte presenza di piccole e medie aziende. 86.000 sono le imprese attive, il 93% sono imprese da 1 a 9 addetti. Sono ben 108 le multinazionali presenti nel nostro territorio, soprattutto chimiche.
465.000 gli occupati ( 75% sono lavoratori dipendenti ).
Un tasso di occupazione del 64,7%, maschi 77,6% femmine 50,9% dove il tasso di attività femminile è il più basso di tutta la Lombardia.
Il tasso di disoccupazione nel 2007 era del 2,6% oggi siamo al 4 – 4.5 – 5.0? Non si sa esattamente. I dati non vengono elaborati con tempestività: inps,
provincia, regione e Cciia non producono dati omogenei. Si fa fatica ad avere un quadro d’insieme realistico e completo.
Il dato dei centri per l’impiego ci dicono che ci sono 52.000 persone senza lavoro, con un aumento del 23% rispetto all’anno precedente. Quindi la situazione sta diventando molto seria per tante famiglie.
Il consuntivo del 2009 ci dice di una crisi pesantissima: la produzione industriale a bergamo e’ diminuita del 10%, il fatturato del 15%, gli addetti alle unità manifatturiere sono diminuiti del 3%. Nell’artigianato e’ ancora peggio la produzione e’ diminuita del 13,3% e l’occupazione del 4,5%.
Ormai solo il 30% dei nuovi avviati nella nostra provincia sono a tempo indeterminato, tutto il resto e’ a tempo determinato (38%), somministrato (15%), a progetto, apprendistato, ecc.
Le ore di cassa integrazione nel 2009 sono state oltre 27 milioni. L’elenco delle aziende in crisi è lungo, ma ne voglio citare solo due perché emblematiche: la Frattini di Seriate e la Triumph di Trescore. Dov’e’ il nostro governo? I nostri parlamentari dovrebbero intervenire nei confronti di questa multinazionale che tratta il nostro paese in questo modo.
Il dato provinciale qual è? E’ che il tessile, da anni in crisi, rischia il collasso, vediamo centinaia di aziende meccaniche in difficoltà, la chimica, il settore edile stanno attraversando momenti estremamente difficili. Le imprese diminuiscono e sono migliaia le piccole imprese che hanno chiesto la cassa in deroga. Se chiudono la probabilità che non aprano più è molto alta.
10.000 lavoratori nel 2009 hanno perso il posto di lavoro, altre decine di migliaia sono in cassa integrazione. Abbiamo calcolato che se non succede nulla nel 2010 altri 10.000 lavoratori rischiano di perdere il posto di lavoro. Il 2010 sarà nerissimo per molte famiglie.
Cosa possiamo fare? Occorre aiutare le famiglie, i lavoratori e dobbiamo cercare di vedere oggi il futuro, oggi dobbiamo costruire le premesse per uscire dalla crisi con idee nuove, anche qui nella nostra provincia.
Mi preoccupano gli elenchi delle aziende in crisi, mi preoccupo ancora di più se nessuno ragiona su come uscire dalla crisi con idee nuove, nuovi investimenti.
Io credo molto nella capacità di questa terra di uscire dalla crisi anche attraverso un grande processo di riconversione di parte del manifatturiero bergamasco investendo in settori quali quelli dell’energia rinnovabile, della sanità, dell’edilizia eco-compatibile, nel tessile avanzato, nelle biotecnologie.
Per fare ciò serve iniziativa imprenditoriale, finanziamenti, formazione, istituzioni orientate a facilitare questi percorsi.
Cosa ha fatto la CGIL di Bergamo da settembre 2008 ad oggi?
Abbiamo lavorato insieme a CISL e UIL per creare un tavolo di crisi in provincia con gli imprenditori, le istituzioni, le banche e le organizzazioni sindacali Per delineare le politiche per affrontare l’emergenza,
ma anche per ragionare sulle politiche per il futuro industriale di questa provincia. Abbiamo scioperato unitariamente in Valseriana a novembre 2008 e poi c’è stato lo sciopero generale della cgil il 12 dicembre 2008. Vi è stata una manifestazione unitaria in Val Brembana e a dicembre 2009 un’altra manifestazione unitaria a bergamo per il lavoro e l’occupazione.
Abbiamo fatto insieme a CISL e UIL un accordo utile con le banche sull’anticipo della cassa integrazione straordinaria ed il blocco dei mutui. È la prima volta che a bergamo mettiamo intorno ad un tavolo anche le banche locali. Sempre unitariamente si è creato un tavolo tecnico con confindustria ed impresa e territorio per monitorare la situazione relativamente all’andamento occupazionale.
Abbiamo predisposto un documento unitario sulla crisi ed avanzato proposte alle imprese, alle banche e alle istituzioni.
Sulle politiche di sviluppo del territorio occorre:
- Accelerare la realizzazione delle infrastrutture per quanto riguarda la mobilità
- Valorizzare il ruolo dell’aeroporto di orio al serio e della fiera
- Realizzare una strategia locale sull’energia e sul risparmio energetico
- Valorizzare il ruolo dell’universita’ di bergamo che, in rete con km rosso e servitec, possono dare un contributo per la formazione e la ricerca con l’obiettivo di aumentare la competitivita’ del territorio
È in questo contesto che si inserisce il progetto Val Seriana.
(…)
Ci siamo scontrati con 3 difficoltà:
- I tempi per accedere alle risorse europee sono troppo lunghi;
- Il ministero che doveva compartecipare al progetto finanziandone il 30% ci ha detto bravi, ma non ha fatto nulla;
- Si fatica ad avere imprenditori disponibili a scommettere su un progetto d’impresa in uno dei settori individuati.
Questi sono i problemi che abbiamo di fronte. Questo governo anziché aiutarci ci ha lasciato soli. Ci ha detto bravi, abbiamo fatto la nostra bella audizione in Parlamento (…).
Istituzioni e politiche locali
Anche se io credo, in tutta onestà, che non si possa lasciare solo ad un comune o ad una provincia il compito di rendere attrattivo un territorio e magari gestire i rapporti con una multinazionale. La politica locale ha confini troppo angusti rispetto a società che hanno visioni planetarie.
C’è un problema di politiche industriali, di rapporti con le multinazionali e di attrattività di sistema che dovrebbe essere gestita a livello nazionale e regionale. E’ dalle infrastrutture e dalla logistica che si deve cominciare. E poi la formazione, l’università, figure professionali adeguate. (…)
Essere giovani a Bergamo
In una ricerca sui giovani si era chiesto loro quali erano le loro ambizioni. La risposta: un lavoro stabile, un minimo di prospettiva.
(…) C’e’ una forte domanda di diritti, di sicurezza, di stabilità.
Oggi la maggioranza dei giovani quando incontra un lavoro e’ in stage, in nero, lavoro somministrato o parasubordinato, titolari di partiva Iva individuale.
A Bergamo su 30.000 parasubordinati (collaboratori a progetto, con contratti di collaborazione, cococo), 9.000 sono contratti di collaborazione. Durata media 8 mesi, reddito 8.500 euro l’anno.
C’è una quota crescente di lavoratori costretti ad aprire partita Iva per continuare a svolgere presso gli stessi committenti le medesime attivita’ svolte in precedenza come collaboratore (…).
Dobbiamo partire dalla frattura generazionale che si è creata: a ripartizione del potere di acquisto: nel 1975 un lavoratore di 50 anni percepiva un salario maggiore del 15% rispetto ad un giovane, oggi questo differenza e’ del 40%.
C’e’ molto da fare per eliminare la dualità dell’attuale mercato del lavoro, per rifondare in maniera unificante le regole e i diritti del lavoro, per investire in formazione, opportunità occupazionale, protezione sociale. Dobbiamo avere maggiore attenzione ai giovani quando contrattiamo a livello nazionale e nelle aziende e quando facciamo contrattazione territoriale e sociale. Anche come organizzazione, come CGIL, dobbiamo avere il coraggio di sperimentare vie nuove.
Essere immigrati irregolari a Bergamo
L’immigrato irregolare fa turni pesanti spesso notturni, lavora in nero anche il sabato e la domenica, guadagna meno di 5 euro l’ora. Ecco l’identikit dell’immigrato irregolare a bergamo: salario basso, lavoro pesante, nessun diritto. L’immigrato irregolare è una risorsa per molti imprenditori privi di scrupoli. Questo spiega perché continuano a venire in Italia. Trovano facilmente lavoro anche senza permesso di soggiorno. Un mese fa il senato ha negato il permesso di soggiorno agli irregolari che denunciano lo sfruttamento da parte dei datori di lavoro. Le associazioni imprenditoriali non hanno fatto sentire la loro voce. Come mai? Forse perché tante piccole e medie imprese continuano a beneficiare proprio dell’irregolarità?
La nostra battaglia, anche quella di questa sera, per il diritto di cittadinanza vuole dire basta alla campagna denigratoria e xenofoba ed alle politiche discriminatorie che in questi anni hanno portato all’applicazione di leggi e ordinanze lontane dal dettato e dallo spirito della costituzione italiana.
Chiediamo alla Provincia di Bergamo e ai Comuni risorse aggiuntive per investimenti che favoriscano l’integrazione, a partire dalla scuola, dal lavoro e dalle politiche sociali. Chiediamo la cittadinanza italiana per tutti coloro che nascono e crescono in italia e pretendiamo che in italia sia sempre garantito il rispetto dei diritti umani riconosciuti a tutti i cittadini, perche’ la mancanza di politiche di accoglienza hanno esposto migliaia di lavoratori e lavoratrici migranti a condizioni disumane
.
Essere donne a Bergamo
Cosa sta accadendo alle tante donne che perdono il posto di lavoro e cosa sta accadendo alle donne. Il basso tasso di occupazione femminile a bergamo e’ dovuto ad un insieme di fattori, da un lato le caratteristiche dell’economia bergamasca ( il peso rilevante dell’edilizia e del manifatturiero settori a bassa partecipazione femminile). Dall’altro peròc’e’ un modello culturale che prefigura un ruolo della donna tutto centrato sui ruoli familiari e genitoriali ritenuti non conciliabili con il lavoro. Occorre lavorare per prevedere incentivi mirati per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia, servizi di cura per gli anziani non autosufficienti, orari dei servizi e delle scuole compatibili con le esigenze lavorative. Ma non c’e’ solo il problema dell’accesso al lavoro. Sono soprattutto le donne a subire le principali discriminazioni nel mondo del lavoro, non è una novità.
Welfare a Bergamo
La nostra provincia sta giungendo impreparata alle sfide che ci porrà presto la rivoluzione demografica in atto. Tra il 2008 e il 2009 gli anziani over 75 sono aumentati di 5000 unità facendo crescere il fabbisogno di posti letto in strutture assistenziali assai al di sopra dell’attuale disponibilità.
La scelta della regione Lombardia di spostare tutto il sistema di welfare sull’assistenza ospedaliera di alta specializzazione rischia di venir pagata a caro prezzo tra non molti anni. Già oggi ci sono liste di attesa di oltre 2000 non autosufficienti per un posto letto in casa di riposo e mancano almeno 130 posti letto per assicurare dimissioni protette a chi viene dimesso dall’ospedale e non e’ in grado di essere assistito a casa. Alla mancanza di strutture rispondono come possono le famiglie, soprattutto con il ricorso a proprio spese di badanti o personale specializzato.
E non vanno meglio le cose per quanto riguarda i servizi per l’infanzia: in tutti i 14 distretti della nostra provincia l’indice di posti in nidi e micro nidi e’ assolutamente insufficiente e non aiuta certo la politica regionale tutta centrata sull’erogazione di bonus e voucher a scapito di servizi e di politiche territoriali.
Da anni la CGIL denuncia alcune gravi criticità del sistema socio sanitario della nostra provincia: le malattie croniche, la psichiatria, l’handicap adulto, l’eccezionale incidenza delle malattie oncologiche, le lsite di attesa in alcune importanti prestazioni come la neuropsichiatria infantile. Per una provincia che e’ la seconda in Italia per reddito pro capite e’ un ben amaro bilancio.
E’ di queste settimane un accordo con Asl per le dimissioni protette, ma in assenza di un ampliamento dei posti letto e’ un accordo che rischia di restare lettera morta
.
A proposito del nuovo ospedale, che dovrebbe aprire i battenti entro dicembre 2010: è un grande appuntamento per bergamo e per tutti i bergamaschi. Daremo il nostro contributo per far si che tutto si compia nel miglior modo possibile ed entro i tempi stabiliti. Nei diversi incontri fatti con la direzione dei riuniti, il dg ha rimarcato un aspetto strategico importante. Sarà essenzialmente un ospedale “per acuti”. Il tema del post-ricovero e’ uno dei temi che dobbiamo affrontare. Sono 45.000 le dimissioni in un anno agli oo.rr.
E qualcuno stima che 2000 siano i casi critici che hanno bisogno di dimissioni protette. A livello provinciale il numero si impenna a 5000. Pensiamo alle persone anziane, sole che si ritrovano una volta fuori dall’ospedale senza assistenza adeguata.
E quindi cosa serve?
Serve che questi degenti e le loro famiglie non siano abbandonati a loro stessi. Occorre creare sul territorio i centri di assistenza domiciliare per assicurare continuità assistenziale sul territorio occorre concentrarsi sull’assistenza domiciliare integrata coinvolgendo le Rsa. Occorre far sistema anche per ottenere dalla regione maggiori risorse.
Il nostro impegno in questo settore sarà ancorato ad alcuni principi: difendere l’universalità del sistema di welfare, adeguarne le caratteristiche ai mutati bisogni, favorirne una gestione più trasparente e decentrata, combattere l’invadenza della politica che in Lombardia e in particolare in sanità, sta creando un soffocante sistema di dipendenza da lobby ideologiche e affaristiche.
I rapporti unitari
Io credo che di fronte a problemi che la crisi determina nella condizione di quei lavoratori che vanno in cassa integrazione, perdono il posto di lavoro, il sindacato deve provare, almeno sui territori, nelle categorie, nelle aziende, a lavorare e a restare unito. Ed è quello che chiedono i lavoratori in una situazione come questa.
Mi si dice “basta inseguire CISL, UIL e Confindustria”.
A parte il fatto che nessuno insegue nessuno. Si discute intorno ad un tavolo e poi ognuno in piena libertà decide. Alcune volte siamo d’accordo altre no e lo diciamo chiaramente.
Ma considero questa un’ impostazione un po’ manichea. La considero sbagliata perché significa immobilizzare l’organizzazione.
Là dove e’ possibile far qualcosa per i lavoratori io ci sono, anche con CISL e UIL, con confindustria ed imprese e territorio, con la Caritas, l’esercito della salvezza se necessario. Certo che non sempre si ottengono risultati, ma qualcuno mi deve dire quale è l’alternativa al lavoro che stiamo facendo: splendido isolamento?
Vorrebbe dire far sbattere questa organizzazione contro il muro, e non vale dire: saremo anche isolati ma i lavoratori sono con noi e quindi tutto va bene, perché non va bene comunque care compagne e cari compagni.
Un gruppo dirigente ha l’obbligo non di assecondare le spinte alla divisione, ma di costruire le premesse perché riprenda il percorso unitario.
Nel nostro programma fondamentale è scritto che la CGIL considera l’unità sindacale un obiettivo storico irrinunciabile ed indisponibile alle asprezze di qualsiasi congiuntura e, allo stesso tempo, inseparabile dall’esigenza di una reale processo democratico in grado di dare certezza e trasparenza al protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici. E ancora: il discrimine essenziale e’ la rigorosa difesa della autonomia del sindacato nei suoi rapporti con il sistema politico, per tenere salde le ragioni sociali del sindacato.
Io sono convinto che noi siamo autorevoli e autonomi, non se siamo amici o nemici di questo o quel governo, di questo o quel sindaco o presidente di provincia, ma se siamo capaci di interpretare le ragioni del nostro mondo, del mondo del lavoro.
Per questo unità e democrazia sono la bussola della nostra iniziativa.
(…)
La tensione sociale contro gli effetti devastanti della crisi, contro i licenziamenti, contro la chiusura degli stabilimenti, e’ destinata a salire. La risposta dei lavoratori e’ responsabile e matura, ma e’ giunto il momento di pretendere dal governo altrettanto senso di responsabilità.
Il 12 marzo
Ancora una volta, da soli, la CGIL ha proclamato lo sciopero di 4 ore il 12 marzo. Uno sciopero che ha quattro obiettivi: per il lavoro, contro i licenziamenti e per una politica industriale che affronti la crisi; per ridurre il carico fiscale sul lavoro dipendente e pensioni; contro i tagli nella scuola e nelle amministrazioni pubbliche, per il diritto di cittadinanza.
Terremo la manifestazione a Bergamo, in piazza Vittorio Veneto dove il corteo di lavoratrici e lavoratori, di pensionati, di giovani arriverà partendo alle 10.00 dalla stazione.
Avremmo preferito farlo unitario questo sciopero. C’erano tutte le ragioni perché fosse unitario. Avremmo voluto CISL e UIL con noi, ma non è stato possibile. Una domanda mi viene spontanea: già con Prodi, solo due anni fa, Bonanni affermava che occorreva andare allo sciopero generale per il fisco e noi eravamo d’accordo. Come mai questo non vale per Berlusconi?
Il segretario Bresciani ha chiuso la sua relazione congressuale ricordando “un lavoratore in particolare, Sergio Marra. Un lavoratore di una piccolissima azienda in difficoltà. Da tre mesi senza stipendio, si era rivolto a noi. La sua morte sarà probabilmente la cosa più importante da ricordare di questa stagione terribile per tante famiglie e tanti lavoratori. Un corpo che brucia non è e non può essere considerato solo un atto di disperazione privata, ma anche e soprattutto un gesto di protesta di cui dobbiamo riconoscere e raccogliere il valore simbolico” .
|
|