FISAC-CGIL BERGAMO

“TENSIONI OCCUPAZIONALI”
ALCUNE RIFLESSIONI SU UN ACCORDO POSITIVO


Il risultato che ci permette di dare un giudizio positivo dell'accordo, è sicuramente quello relativo al prosciugamento dell'area del precariato nel nostro Gruppo bancario.
Le oltre 720 stabilizzazioni a tempo indeterminato dei lavoratori precari che da tempo operano nel Gruppo, è la migliore garanzia che potevamo ottenere per il futuro di tutti i lavoratori e le lavoratrici di Ubi Banca.
Inoltre si sono poste le basi perché le future assunzioni con contratto di somministrazione (lavoro interinale) divengano residuali: la Direzione del Gruppo si è impegnata infatti a privilegiare l'utilizzo di forme come il tempo determinato o l'apprendistato professionalizzante, in grado di fornire risposte adeguate sia alle vere sostituzioni, sia a una più stabile programmazione delle future assunzioni.
E' fuori di dubbio come la procedura sulle tensioni occupazionali proposta dal Gruppo, si è potuta attivare per l'esistenza di un enorme bacino di precari che la Direzione ha potuto, sulla base del ragionamento del contenimento dei costi, utilizzare in contrapposizione con i lavoratori più anziani presenti in Ubi Banca.
Altro risultato, assolutamente rilevante, è che tali stabilizzazioni avverranno in tempi certi e soprattutto senza nessuna deroga di norme contrattuali nazionali e aziendali.
Al contrario di quanto avvenuto nel Gruppo Intesa - dove la Fisac-Cgil non ha firmato l'accordo che introduceva, per i neo assunti, pesanti peggioramenti delle normative esistenti – possiamo affermare di avere, anche grazie alla sensibilità delle altre Organizzazioni Sindacali presenti, evitato che anche nel nostro Gruppo si realizzasse un ulteriore strappo delle norme nazionali vigenti: non è stato semplice anche perché la Direzione di Ubi ci ha provato in modo pesante.
A pochi mesi dalla discussione della piattaforma di rinnovo del Contratto Nazionale era indispensabile evitare ogni tentennamento al riguardo, in particolare nel Gruppo che esprime il presidente uscente di ABI, Faissola.
Pensiamo che il forte e unitario rifiuto di perseguire la strada delle deroghe contrattuali sia, per la nostra controparte, un messaggio chiaro e utile anche alle prossime trattative che nel Gruppo e nelle sue aziende dovremo affrontare.
Con queste note per i nostri iscritti crediamo sia necessario dare anche un giudizio chiaro sulla nostra controparte: se qualcuno pensa che il nostro Gruppo continui a mantenere le prerogative e le caratteristiche storiche di un'azienda che si definisce “Popolare”, è meglio che prenda atto che tale definizione, specialmente nei rapporti con il personale, è una pura chimera.
Siamo di fronte ad una SpA normalissima che affronta il mercato con la stessa durezza di ogni altra azienda, evidenziando però grossi problemi sul fronte del management di governo.
La crisi mondiale del 2008 ha pesantemente colpito il mondo finanziario. In Italia la conseguente crisi economica si presenta molto dura, con riflessi preoccupanti sulla tenuta del sistema produttivo nazionale che, a cascata e per i prossimi anni, si scaricheranno sui Gruppi bancari italiani.
Il Gruppo Ubi ha dimostrato con i fatti, che contano molto più delle parole, come il principale interesse del top management sia stato quello di remunerare il capitale: l'ha fatto nell'orribile 2008, l'ha immediatamente rifatto nel 2009.
Il ripetersi dell'erogazione di alti dividendi, se rapportati alle condizioni economiche che viviamo, ci pare sia un scelta funzionale più tesa alla legittimazione e alla riconferma dell'attuale gruppo dirigente che la cartina di tornasole di un Gruppo bancario in salute.
Analizzando il piano industriale 2007-2010, possiamo affermare che il tema dei costi, particolarmente il costo del lavoro, è stato il terreno su cui il top management ha riportato i “migliori risultati”.
La procedura “Tensioni Occupazionali” ne è una ulteriore riconferma: una situazione che ha determinato e determina seri problemi ai lavoratori che l'accordo ha solo parzialmente attenuato.
Certo il Gruppo Ubi è tra i più patrimonializzati d'Italia e questo è certamente un dato positivo, ma non possiamo dimenticarci che anche questo risultato è stato raggiunto tramite cessioni d'azienda e pesanti ristrutturazioni organizzative.
Dobbiamo inoltre sottolineare che il terreno del trading e dell'attività finanziaria – lo stesso che ha determinato la crisi, ma anche lo stesso che oggi è utilizzato dai Gruppi bancari italiani per aumentare i risultati – è un terreno ad alto rischio per il nostro Gruppo perché i “risultati ottenuti” si sono concretizzati, prima in aumenti delle sofferenze e poi in perdite di bilancio e in diminuzione del valore patrimoniale del Gruppo.
Sul terreno della tradizionale attività bancaria registriamo invece seri problemi di immagine che incidono poi sulla fidelizzazione della clientela, un costante deterioramento della qualità del credito, un costo del denaro che poco remunera l'attività creditizia, un contesto normativo sempre più pressante per le aziende bancarie hanno determinato un arretramento delle quote di mercato del Gruppo.
Il tentativo di risposta a questo quadro complicato è affidato a progetti di sviluppo dell’ operatività che non ci paiono risolutivi. Per alcuni aspetti, anzi, denotano un drammatico ritardo negli investimenti sulla multicanalità, nei rinnovamenti delle procedure finalizzati a semplificare i processi di lavoro per favorire la copertura e la conoscenza delle esigenze dei territori e dei diversi segmenti di clientela: tutti obiettivi che le diverse società di consulenza “strategica” (Kpqmg compresa), che studiano le dinamiche del settore bancario, indicano come fattori di successo da almeno sei anni.
Sulla ristrutturazione degli sportelli dobbiamo registrare qualche contraddizione tra l'operazione dello switch sportelli, realizzata qualche mese orsono, e le pesanti chiusure e ridimensionamenti che si realizzano in questa fase.
In definitiva, dobbiamo sottolineare come le operazioni che si sono realizzate nel tempo hanno sempre inciso negativamente sui lavoratori e sulle condizioni in cui operano: questo è avvenuto senza mai una riflessione autocritica da parte del top management aziendale che non si è mai assunto le responsabilità che, in pochi anni, hanno determinato i recenti scarsi risultati realizzati in alcune aziende del Gruppo.
Il contenimento dei costi ha dei limiti precisi: quando questa politica aziendale rischia di compromettere le possibilità di sviluppo significa che i problemi vanno individuati altrove.
La dimostrazione di quanto affermiamo ce la fornisce il parametro “cost/income”: nonostante tutti gli interventi effettuati sui costi, il dato del Gruppo Ubi è tra i peggiori se confrontato con quello dei gruppi bancari nostri concorrenti.
La verità è che ciò che manca è la capacità di produrre reddito aumentando i ricavi.
Durante questa difficile trattativa più volte, come Fisac-Cgil, abbiamo detto alla controparte che il fattore produttivo lavoro ha già dato tutto quanto poteva dare: oltre non si può più procedere.
La nostra disponibilità sul fronte dei finanziamenti alla formazione è un contributo fondamentale alla costruzione e alla evoluzione delle professionalità che il personale esprime.
Le lavoratrici e i lavoratori sono il primo fattore di sviluppo e di successo della attività bancaria: è necessario riconsiderare il loro apporto, smetterla con pressioni inaccettabili, ricatti e minacce, piuttosto valorizzare le loro conoscenze e riconoscere la loro centralità garantendo, nei fatti, condizioni di lavoro dignitose a partire dal riconoscimento salariale del contributo che tutti hanno fornito al Gruppo Ubi, nonostante i non brillanti risultati di questi anni difficili.


Giugno 2010
Fisac-Cgil
Gruppo Ubi Banca

Login
Webmaster CGIL Lombardia: Via Palmanova 22 - 20132 Milano | e-mail: cgil_lombardia@cgil.lombardia.it | telefono 39 02 262541 | fax 39 02 2480944 | CGIL LOMBARDIA Codice Fiscale : 94554190150 Web Privacy Policy e Cookies