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CGIL BERGAMO
Da 200 lavoratori ad una trentina in quattro anni
PLATI ELETTROFORNITURE DI MADONE, CASSA POI LICENZIAMENTI
La FIOM-CGIL non firma l’accordo per la CIGS “che ha come condizione l’accoglimento immediato dei licenziamenti”
Bergamo, giovedì 15 luglio 2010
Erano in 200 nel 2007, arriveranno ad essere poco più di una trentina l’anno prossimo i lavoratori dell’azienda metalmeccanica Plati Elettroforniture di Madone che oggi occupa 57 persone.
Il 22 giugno scorso, con la consulenza di Confindustria, l’azienda ha comunicato la richiesta di un periodo di Cassa integrazione speciale per 12 mesi e per 24 lavoratori a causa di “carenza di commesse di lavoro in seguito di cancellazione ordini clienti importanti”.
“La cassa colpirà gli stessi lavoratori che nei mesi scorsi, senza un minimo criterio di rotazione, erano già stati posti in cassa integrazione ordinaria per 52 settimane” spiega Mirco Rota, segretario generale provinciale della FIOM-CGIL di Bergamo. “Più volte la FIOM-CGIL aveva chiesto di utilizzare il contratto di solidarietà in modo da salvaguardare i livelli occupazionali e distribuire su più lavoratori i sacrifici economici richiesti. La richiesta è rimasta, però, inascoltata, anche da Confindustria, per nulla sensibile a questo tipo di contratti, malgrado solo pochi mesi fa abbia sottoscritto con CGIL, CISL e UIL provinciali un protocollo per la loro applicazione. Dopo alcuni incontri sindacali, la Plati ha continuamente ribadito a FIM, FIOM e UILM, che il ricorso alla Cassa speciale sarebbe stato possibile solo ed esclusivamente a condizione che il sindacato sottoscriva, fin da subito, un accordo che preveda i licenziamenti dei lavoratori posti in cassa. Diversamente, ci sarebbero licenziamenti senza cassa”.
La FIOM-CGIL sin dall’inizio ha dichiarato l'indisponibilità alla sottoscrizione di un accordo che abbia queste modalità. L’intesa, invece, dovrebbe essere sottoscritta da FIM-CISL e UILM-UIL (entrambe lo hanno già annunciato).
“Non è assolutamente accettabile che Plati Elettroforniture continui a comportarsi in modo ricattatorio nei confronti dei lavoratori e del sindacato,
dicendo ‘o così oppure ti licenzio’” dichiara Rota. “Un atteggiamento che l'azienda tiene, con la completa complicità di Confindustria Bergamo, dall'inizio di questa vicenda, cioè sin nel 2007 con i primi 52 licenziamenti, oggetto ancora oggi di un pesante contenzioso giudiziario. Quando abbiamo vinto la prima causa contro l’azienda ricordo che la dottoressa De Risi si chiese il perché Plati stesse, in definitiva senza ammetterlo, chiudendo licenziando a rate. È davvero paradossale che Confindustria Bergamo, poi, si presenti all'opinione pubblica come un soggetto interessato ad una gestione della crisi utilizzando strumenti opportuni, fino a firmare un protocollo per l'utilizzo dei contratti di solidarietà, poi, invece, ricatti il sindacato con un accordo che preveda i licenziamenti come in questo caso. Ancora una volta, mentre noi confermiamo tutto il nostro impegno per tutelare i lavoratori colpiti dalla crisi, Confindustria mostra le sue vere intenzioni: pensare esclusivamente agli interessi delle imprese senza preoccuparsi dei problemi di chi lavora”.
Le tappe in Plati
Nel giugno del 2007, la Plati, attraverso una procedura di mobilità non concordata con le Organizzazioni Sindacali, aveva licenziato 52 lavoratori, quasi tutte donne, e aveva delocalizzanto la produzione all’estero. Contestualmente ai licenziamenti, la Plati si era impegnata anche con le istituzioni locali, in particolare con il Comune di Mapello, a continuare l'attività produttiva e a mantenere in forza i rimanenti lavoratori.
Nel febbraio 2008, però, l’azienda aveva comunicato al sindacato, contraddicendo sia gli impegni sindacali sia quelli assunti con le istituzioni, la decisione di voler chiudere definitivamente l'attività produttiva di Madone, per trasferirla completamente all'estero, licenziando altre 30 lavoratrici.
Nello stesso mese, intanto, l’azienda era stata condannata dal Tribunale di Bergamo per comportamento antisindacale nei confronti della FIOM-CGIL a causa dell'atteggiamento tenuto durante tutta la fase di trattativa, in cui l'azienda non aveva voluto trovare alcuna soluzione alternativa ai licenziamenti.
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